Autoaccusa e autocritica
A pagina 99, per esempio, il procuratore conclude così i suoi ragionamenti: «Le cessioni disciplinarmente rilevanti che, secondo i giudici di primo e secondo grado “destavano e destano sospetto” sono state corroborate da elementi autoaccusatori e documenti aventi efficacia confessoria tale da assurgere a piena prova della contestata fittizietà dei valori delle cessioni indicate nel deferimento». Ma, lette e rilette le intercettazioni, resta il dubbio che, talvolta, si confonda l’autoaccusa con l’autocritica. Ovvero: nel corso delle 106 pagine, queste plusvalenze vengono descritte come il “male” per gli effetti che portano al bilancio enon ci sono mai riferimenti o allusioni all’illegalità delle stesse. Soprattutto nelle parole dei dirigenti con incarichi di amministrazione e contabilità (Bertola e Cerrato, per esempio) ci si preoccupa del fatto che gli effetti benefici di uno scambio portano con sé un carico successivo a bilancio sul fronte degli ammortamenti: la preoccupazione è sulla sostenibilità di un tale pratica che, infatti, viene abbandonata prima delle indagini (come si evince da un’intercettazione) non sulle possibili conseguenze legali. La stessa conversazione fra Cherubini e Paratici citata come «esemplare», vede il primo illustrare al secondo i difetti economici e non legali degli scambi. E anche quando Cherubini dice: «Io farei un prestito con diritto alzando i valori (l’oggetto è Demiral, ndr)» non dice che un’ovvietà del mondo del calciomercato, nel quale il valore di un giocatore dipende anche dalle modalità del pagamento o del trasferimento. E sono proprio le peculiarità del mondo del calciomercato, non certo un mondo razionale, ma anzi soggettivo e aleatorio, che fanno perdere aderenza al complesso accusatorio.
Nessun criterio scientifico
C’è una lunga conversazione fra Cerrato e Bertola nella quale i due, riferendosi a domande fatte dalla Consob, ribadiscono fra di loro come non esista alcun criterio scientifico e nessuna procedura o commissione interna per stabilire il giusto valore di un giocatore. Cosa che, giustamente, può far inorridire la Consob, ma è prassi del tutto comune nel mondo del calciomercato, nella cosiddetta «football industry». In fondo lo ha scritto anche il gip, respingendo le richieste di misure cautelare dei pm torinesi, che se la Juventus ha agito secondo le consuetudini del settore diventa difficile dimostrare il dolo. Perché alla fine si torna sempre all’impossibilità di stabilire un valore e in base a quello misurare la supervalutazione. Prendiamo il caso Arthur-Pjanic, per esempio: un nazionale brasiliano da una parte e un campione con scudetti e coppe nel palmares. Vengono scambiati con valutazione di 72 milioni il primo e 60 il secondo. Troppi? Chi lo stabilisce? E poi: quanto troppo? Nel senso che qualora esistesse un valore oggettivo devo anche capire di quanto è stato aumentato nello scambio per valutare la gravità della violazione stessa. E nel caso Danilo-Cancelo? Erano parsi anche ai media troppi 37 milioni e 65 all’epoca. Oggi Danilo è un pilastro della Juventus e della nazionale brasiliana, Cancelo un fenomeno rimpianto dai tifosi della Juventus che si lamentano di averlo “svenduto”. Insomma, nelle pagine di Chiné emerge chiaramente che la Juventus aveva esigenze di bilancio da «sistemare» con il calciomercato, ma nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello Federale ci sono lunghi paragrafi dedicati alla differenze fra «valore» e «prezzo» (il primo è difficile, se non impossibile da stabilire in modo oggettivo, il secondo lo stabilisce il mercato) e nessuna delle intercettazioni o dei documenti prodotti riesce a smontare quei passaggi. Leggendo e rileggendo si ha la sensazione di una società che era andata incontro alla tempesta Covid, già con qualche falla nella chiglia, dovuta a una gestione forse un po’ avventurosa delle spese. Un passato che era già alle spalle e che veniva criticato, non una confessione di violazioni commesse. Quelle dovranno essere dimostrate dal procuratore federale.