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L’inchiesta sulle plusvalenze nel calcio italiano si era chiusa con un nulla di fatto il 17 maggio scorso quando la Corte federale d’appello aveva respinto il ricorso della Procura. Aveva dunque confermato quanto stabilito il 15 aprile dal Tribunale nazionale della Figc il quale aveva prosciolto tutti i 59 dirigenti e le 11 società (di cui cinque di serie A: Juventus, Napoli, Genoa, Sampdoria e Empoli). Il procuratore Chinè aveva chiesto, fra l’altro, un anno di inibizione per il presidente della Juve, Andrea Agnelli; 16 mesi e 10 giorni di inibizione per l’ex ds bianconero, Fabio Paratici, e 800 mila euro di multa per il club (quanto al Napoli: 11 mesi e 5 giorni di inibizione per il presidente, Aurelio De Laurentiis, e 392 mila euro di ammendalla alla società). L’impianto accusatorio era stato demolito dal verdetto in quanto è stato ritenuto impossibile fissare una valutazione oggettiva alle prestazioni dei calciatori e dunque dimostrare che i club fossero ricorsi a scambi di calciatori con valutazioni economiche gonfiate per far quadrare i conti e migliorare i bilanci. La Procura Figc ha tuttavia esaminato gli atti della Procura di Torino inerenti l’inchiesta Prisma (ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved, Maurizio Arrivabene e altri nove indagati vengono contestati reati di false comunicazioni sociali in relazione ai bilanci 2018/2019 e 2020, ostacolo alla vigilanza Consob, aggiotaggio e false fatturazioni) e richiesto – il 22 dicembre scorso - la revocazione per la sentenza definitiva della giustizia sportiva, oltre che l’apertura di una nuova inchiesta. Questa volta sono dunque coinvolti meno club: soltanto la Juventus e le società che hanno fatto affari con la Juventus (Sampdoria, Pro Vercelli, Genoa, Parma, Pisa, Empoli, Novara e Pescara).