La matematica non sarà mai il suo mestiere. L’assunto, che muove da presupposti molto più rigorosi e puntuali rispetto alla leggerezza di una parafrasi dei testi di Venditti, è contenuto – in qualche modo – nel ricorso presentato dalla Juventus al Collegio di Garanzia dello Sport. E riguarda il procuratore federale Giuseppe Chinè, cui i legali bianconeri hanno rinfacciato negli incartamenti di aver smesso i propri panni professionali per indossare quelli del... direttore sportivo. O per provarci, quantomeno, con risultati reputati dalla difesa (e in almeno due casi dai fatti) per lo più scadenti.
Chiné e Transfermarkt: il valore attribuito dalla Procura
La genesi della vicenda affonda le radici nel deferimento del 1° aprile dello scorso anno, quando la Procura aveva messo nel mirino (senza successo, prima della revocazione della doppia sentenza di assoluzione) le operazioni di mercato condotte dalla Juventus e da altre dieci società professionistiche. E lo aveva fatto tentando di risolvere il più annoso e intricato dei rebus, ovvero quello di conferire un valore il più oggettivo possibile ai cartellini dei giocatori. «Si è reso necessario sottoporre i valori dei calciatori compravenduti a una verifica di congruità e coerenza», sosteneva proprio Chiné, che per soddisfare l’arduo presupposto aveva fatto ricorso al sito specializzato Transfermarkt e allo storico dei movimenti dei club coinvolti. Ne era sgorgata una tabella tanto scrupolosa quanto fantasiosa, su cui i legali della Juventus sono tornati in occasione – appunto – del ricorso. “In nessuna conversazione intercettata e in nessun documento acquisito – si legge nel documento – si rinviene alcun riscontro di sorta per sostenere che il valore dei calciatori sia pari a quello attribuito dalla Procura Federale”.