Plusvalenze Juventus, il procuratore Chinè e quei 5 milioni persi

Quanti buchi nella rappresentazione del capo della Procura Figc: nel deferimento scriveva che Vrioni e Brunori valevano 1 milione, ma ma sono stati venduti a 5,7 milioni!

La matematica non sarà mai il suo mestiere. L’assunto, che muove da presupposti molto più rigorosi e puntuali rispetto alla leggerezza di una parafrasi dei testi di Venditti, è contenuto – in qualche modo – nel ricorso presentato dalla Juventus al Collegio di Garanzia dello Sport. E riguarda il procuratore federale Giuseppe Chinè, cui i legali bianconeri hanno rinfacciato negli incartamenti di aver smesso i propri panni professionali per indossare quelli del... direttore sportivo. O per provarci, quantomeno, con risultati reputati dalla difesa (e in almeno due casi dai fatti) per lo più scadenti.

Chiné e Transfermarkt: il valore attribuito dalla Procura

La genesi della vicenda affonda le radici nel deferimento del 1° aprile dello scorso anno, quando la Procura aveva messo nel mirino (senza successo, prima della revocazione della doppia sentenza di assoluzione) le operazioni di mercato condotte dalla Juventus e da altre dieci società professionistiche. E lo aveva fatto tentando di risolvere il più annoso e intricato dei rebus, ovvero quello di conferire un valore il più oggettivo possibile ai cartellini dei giocatori. «Si è reso necessario sottoporre i valori dei calciatori compravenduti a una verifica di congruità e coerenza», sosteneva proprio Chiné, che per soddisfare l’arduo presupposto aveva fatto ricorso al sito specializzato Transfermarkt e allo storico dei movimenti dei club coinvolti. Ne era sgorgata una tabella tanto scrupolosa quanto fantasiosa, su cui i legali della Juventus sono tornati in occasione – appunto – del ricorso. “In nessuna conversazione intercettata e in nessun documento acquisito – si legge nel documento – si rinviene alcun riscontro di sorta per sostenere che il valore dei calciatori sia pari a quello attribuito dalla Procura Federale”.

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Quali valori? I casi di Vrioni e Brunori

Già, ma quali sono questi valori? Gli avvocati della Juventus si sono soffermati su due casi in particolare. Quello di Vrioni, cui Chiné sulla base dei parametri già citati aveva assegnato «un reale valore che non può essere superiore ai 600mila euro e per cui si deve procedere così alla svalutazione per 3,4 milioni di euro» rispetto all’operazione che l’aveva portato dalla Sampdoria alla Juventus per 4. E quello di Brunori, medesimo discorso e cifre differenti: 400mila euro di valutazione federale, 2,8 milioni nell’operazione reale per il passaggio dal Pescara ai bianconeri e conseguente svalutazione di 2,4 milioni. Così si era arrivati alla cifra complessiva di 60 milioni di euro (pur sempre il misero 3,6% dei ricavi complessivi a bilancio) contestati al club. Ovvero giudicando “congruo e coerente” il valore di 600mila euro per Vrioni, lo scorso anno capocannoniere del campionato austriaco e in estate ceduto al New England per 3,7 milioni (e non in un’operazione a specchio!). O quello di 400mila per Brunori, 30 reti nell’anno solare 2022, le stesse di Benzema e una in più di Kane, ceduto poi al Palermo per 2 milioni più bonus.

Non solo Vrioni e Brunori

Ma la lista è ben più lunga. E comprende, a titolo d’esempio, anche Tommaso Barbieri, acquistato dalla Juventus per 1,4 milioni e valutato da Chiné al massimo 600mila euro. Valutazione rivedibile per un ragazzo che, a soli 20 anni, ha da poco esordito in Champions League contro il Psg di Messi e Mbappé e sta gradualmente entrando nelle rotazioni della prima squadra di Allegri. Poi, certo, nelle motivazioni relative al -15 comminato ai bianconeri, il presidente della Corte Federale d’Appello, Mario Luigi Torsello, spiega a fondo come la sanzione sia dovuta in realtà a un “sistema fraudolento” e non a singole operazioni. Ma per comporre un sistema, va da sé, almeno un gruzzolo di plusvalenze comprovate e non solo sospettate sono necessarie. E, invece, emerge chiaramente nel contesto la difficoltà a certificarne anche soltanto una in modo specifico. E in più ci confondono le idee: Torsello cita più volte il famoso scambio Pjanic-Arthur come esempio di supervalutazioni, proprio lo stesso scambio che il 1° aprile 2022 era stato ritenuto “corretto” da Chiné.

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La matematica non sarà mai il suo mestiere. L’assunto, che muove da presupposti molto più rigorosi e puntuali rispetto alla leggerezza di una parafrasi dei testi di Venditti, è contenuto – in qualche modo – nel ricorso presentato dalla Juventus al Collegio di Garanzia dello Sport. E riguarda il procuratore federale Giuseppe Chinè, cui i legali bianconeri hanno rinfacciato negli incartamenti di aver smesso i propri panni professionali per indossare quelli del... direttore sportivo. O per provarci, quantomeno, con risultati reputati dalla difesa (e in almeno due casi dai fatti) per lo più scadenti.

Chiné e Transfermarkt: il valore attribuito dalla Procura

La genesi della vicenda affonda le radici nel deferimento del 1° aprile dello scorso anno, quando la Procura aveva messo nel mirino (senza successo, prima della revocazione della doppia sentenza di assoluzione) le operazioni di mercato condotte dalla Juventus e da altre dieci società professionistiche. E lo aveva fatto tentando di risolvere il più annoso e intricato dei rebus, ovvero quello di conferire un valore il più oggettivo possibile ai cartellini dei giocatori. «Si è reso necessario sottoporre i valori dei calciatori compravenduti a una verifica di congruità e coerenza», sosteneva proprio Chiné, che per soddisfare l’arduo presupposto aveva fatto ricorso al sito specializzato Transfermarkt e allo storico dei movimenti dei club coinvolti. Ne era sgorgata una tabella tanto scrupolosa quanto fantasiosa, su cui i legali della Juventus sono tornati in occasione – appunto – del ricorso. “In nessuna conversazione intercettata e in nessun documento acquisito – si legge nel documento – si rinviene alcun riscontro di sorta per sostenere che il valore dei calciatori sia pari a quello attribuito dalla Procura Federale”.

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