Quei sette minuti che hanno cambiato la storia della Juve

Dal gol di Vlahovic al pareggio di Suso, il compendio di una stagione segnata da errori, amnesie e delusioni

SIVIGLIA - Sette minuti. La Juventus è stata qualificata per la finale di Europa League per soli sette minuti, l’intervallo tra il vantaggio di Vlahovic e il pareggio di Suso che ha sbriciolato le certezze del gruppo bianconero. Di nuovo. Sì: di nuovo perché questa dinamica è davvero la sintesi di una stagione, il compendio di fragilità individuali che si sommano e che contribuiscono così a creare una debolezza, anziché una forza. Il paradigma di queste ultime stagioni bianconere (non solo di questa, ma almeno delle ultime tre) durante le quali la somma (di talenti, di potenzialità, di danari profusi) non ha mai prodotto il totale che sarebbe stato legittimo attendersi da queste eccellenze o presunte tali. In definitiva, per quanto possa apparire banalmente brutale, il problema sta tutto lì: nell’adeguatezza dei protagonisti a recitare il ruolo da protagonista che ti richiede la militanza nella Juventus.

All'altezza della Juve?

Un percorso che appunto non ammette distrazioni, errori, cali di tensione perché sei sempre sul filo del rasoio della condanna e perché nessuno, contro di te, concede sconti: rappresenti il trofeo più ambito e non puoi concederti cali, a meno che tu sia un fenomeno. Ma qualcuno, in questa Juve, lo è? Così, sarebbe troppo semplice e sbrigativo, oltre che colpevolmente assolutorio, accreditare tutte le colpe a Massimiliano Allegri che, certo, di suo ha responsabilità a cominciare dal gravemente deficitario approccio fisico alla stagione che è costato l’epocale figuraccia nel girone di Champions.

Le pagelle della Juve

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vaghezze bianconere

Ma anche ieri sera sono emerse lacune caratteriali, morali e tecniche che non possono essere imputate al solo allenatore. Che, peraltro, di suo l’aveva preparata persino bene: ma che gli vuoi dire se uno come Di Maria ti sbaglia quel gol (ah: tra l’altro quante volte lo stesso Di Maria ha evitato al Psg dei fenomeni le clamorose eliminazioni europee? Nessuna: tutto torna), se Kean (altra scelta giusta di chi la partita l’aveva preparata sulle carenze avversarie) colpisce il palo, se Rabiot sbaglia conclusioni. E se, soprattutto, Chiesa fallisce un gol elementare e, dannazione, perde in maniera sanguinosa in uscita la palla che porterà al pari di Suso. Sono mancati quelli che dovrebbero fare la differenza e qui si può aprire il dibattito se l’allenatore li abbia motivati il giusto, se vi sia sintonia reciproca, ma da gente che è campione d’Europa e del Mondo è lecito pretendere una lucidità e una applicazione maggiori, a prescindere. Poi, infine, di nuovo quella vaghezza che pervade questa Juve quando è oramai vicina all’obiettivo. Qualcosa che Allegri non aveva mai conosciuto nella sua prima Juve. Ecco: ma è diverso lui o quelli che ci giocavano allora? Riflessioni pesanti e fondamentali da compulsare, in casa Juventus.

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SIVIGLIA - Sette minuti. La Juventus è stata qualificata per la finale di Europa League per soli sette minuti, l’intervallo tra il vantaggio di Vlahovic e il pareggio di Suso che ha sbriciolato le certezze del gruppo bianconero. Di nuovo. Sì: di nuovo perché questa dinamica è davvero la sintesi di una stagione, il compendio di fragilità individuali che si sommano e che contribuiscono così a creare una debolezza, anziché una forza. Il paradigma di queste ultime stagioni bianconere (non solo di questa, ma almeno delle ultime tre) durante le quali la somma (di talenti, di potenzialità, di danari profusi) non ha mai prodotto il totale che sarebbe stato legittimo attendersi da queste eccellenze o presunte tali. In definitiva, per quanto possa apparire banalmente brutale, il problema sta tutto lì: nell’adeguatezza dei protagonisti a recitare il ruolo da protagonista che ti richiede la militanza nella Juventus.

All'altezza della Juve?

Un percorso che appunto non ammette distrazioni, errori, cali di tensione perché sei sempre sul filo del rasoio della condanna e perché nessuno, contro di te, concede sconti: rappresenti il trofeo più ambito e non puoi concederti cali, a meno che tu sia un fenomeno. Ma qualcuno, in questa Juve, lo è? Così, sarebbe troppo semplice e sbrigativo, oltre che colpevolmente assolutorio, accreditare tutte le colpe a Massimiliano Allegri che, certo, di suo ha responsabilità a cominciare dal gravemente deficitario approccio fisico alla stagione che è costato l’epocale figuraccia nel girone di Champions.

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