Tutto è perduto, anche l’onore. La diciassettesima sconfi tta stagionale della Juventus (e diciassette partite perse sono un numero impressionante) spegne le luci dello Stadium in questa terrificante stagione e accende l’indignazione del popolo bianconero, maltrattato da tutti, anche dalla loro squadra e dalla loro società. Meritavano più orgoglio e meno retorica, più applicazione e meno confusione, meritavano una partita diversa rispetto al resto della stagione, ma la prestazione bianconera è stata malinconicamente in linea con tutte le altre: la Juventus non è riuscita a incidere in fase offensiva, ha manovrato in modo lento, ha sbagliato tanto, ha infilato la solita vaccata difensiva. Niente di nuovo, insomma. È così da un po’ troppo tempo perché, adesso che è veramente finita, non se ne ragioni in modo serio e approfondito.
La risposta che conta la darà John Elkann
Sì, la Juventus ha fatto 69 punti e sarebbe in Champions, come sostiene giustamente Massimiliano Allegri, timoniere in una tempesta assurdamente perfetta, ma può bastare a cancellare diciassette sconfitte, tante brutte partite, il girone di Champions, le finali di Coppa Italia ed Europa League buttate via con prestazioni non all’altezza della situazione e gli zero trofei negli ultimi due anni? La risposta che conta la darà John Elkann, insieme alla nuova dirigenza della Juventus e non si farà attendere molto oltre il finale di campionato, quando si dovrà iniziare a costruire il futuro. Un futuro che la società sta cercando di sgombrare da eventuali penalizzazioni, racchiudendo le vicende giudiziarie in questa stagione. E in questo senso vanno lette le parole di Francesco Calvo che ha infilato una distrazione tipo quella di Gatti su Giroud. Perché no, non è acqua e non è passata la vicenda delle plusvalenze, è una ferita fresca che brucia ancora molto, proprio per la ragione spiegata dallo stesso Calvo che ha sottolineato una delle incongruenze più palesi della sentenza per le plusvalenze citando la «mancanza di proporzione» e spiegando come «Il processo è iniziato con un’accusa di violazione di un articolo e con la condanna per la violazione di un altro». Quella di Calvo è una dichiarazione uscita malissimo, perché in un momento così emotivamente delicato per il popolo bianconero la forma è sostanza e non si può sbagliare nel condividere un’idea o una strategia. Il ricorso contro la sentenza del -10, possibile ancora al Collegio di Garanzia dello Sport, è fondamentalmente inutile: la Corte Federale d’Appello ha applicato alla lettera quanto scritto dallo stesso Collegio (diminuendo il -15 in modo proporzionale alle assoluzioni di una parte dei dirigenti), è quindi piuttosto remota la possibilità che un ricorso possa essere qualcosa più di una perdita di tempo. Il messaggio passato dagli ambienti della giustizia sportiva, in questi ultimi cinque, tormentati, mesi è piuttosto chiaro: non si tratta di diritto, ma di politica, non si ragiona in termini giurisprudenziali, ma si amministra il potere.
Non ci può essere pace senza giustizia
Ma è proprio questa diffusa e fastidiosa sensazione di ingiustizia (capace di smuovere anche coscienze non proprio juventine negli ultimi giorni) che non può essere sciacquata via con parole scelte male. Le strategie possono anche prendere le vie del realismo politico, ma la battaglia che sta combattendo la gente bianconera, da due anni bersaglio di infamie, non è acqua e non passa con le sentenze, perché non ci può essere pace senza giustizia.