Capello e gli Scudetti Juve: “Regalati ad altri”. Sul caso scommesse e Pogba…

L'ex allenatore bianconero ha presentato la sfida di domani a San Siro contro il Milan di Pioli: "Chi vince svolta"

Martedì Inghilterra-Italia a Wembley, domani Milan-Juve a San Siro. Giorni di ricordi intensi per Fabio Capello, autore del gol con cui gli azzurri vinsero per la prima volta all’Empire Stadium, il 14 novembre 1973, giocatore prima e allenatore poi di rossoneri e bianconeri, con cui tra campo e panchina ha vinto tutto. «Sono ricordi importanti, di soddisfazioni da una parte e dall’altra, però è il passato. Ti ritornano in mente tutti i momenti felici e anche qualche delusione, perché anche quelle vanno messe in conto - ricorda l’ex tecnico, oggi apprezzato opinionista di Sky -. Io fra l’altro metto da parte più in fretta i momenti belli, mi rimangono più dentro le amarezze».

Prima di parlare di Milan-Juve partiamo da Wembley. Come ha visto l’Italia a Londra?

«Prima della partita avevo detto che sarebbe stata una sfida molto difficile, perché l’Inghilterra ha dei talenti che noi non abbiamo e che fanno la differenza. Però ho visto una buona Italia con idee precise, credo che in così poco tempo Spalletti abbia fatto un lavoro eccezionale. Poi come sempre la differenza la fanno i calciatori quando si gioca in Nazionale, perché il livello è alto e quindi bisogna avere i migliori in campo».

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A proposito di talenti, lei ne ha visti tantissimi: che ne pensa di Bellingham?

«Oggi è il migliore in assoluto: ha tutto, non ha difetti, ha una visione di gioco enorme. E ha una personalità, a 20 anni, che in un ragazzo così giovane ho visto solo in Messi, quando ne aveva 16-17, in un trofeo Gamper contro la mia Juve».

Tornando all’Italia, come la vede per la qualificazione all’Europeo?

«Io ho fiducia perché ho visto una bella Italia. Se proprio devo dire una cosa credo che Spalletti debba lavorare un po’ sull’attenzione difensiva, perché lì qualcosa è mancato. Però ce la siamo giocata, a me l’Italia è piaciuta e mi ha sorpreso positivamente».

Passiamo a Milan-Juve, prima contro terza: che ne pensa del percorso che hanno fatto finora?

«Il Milan si è rivalutato subito dopo la sconfitta nel derby e ha fatto delle cose molto molto buone, tanto che è primo in classifica. La Juventus ha avuto qualche problema, tra assenti e non presenti, e quindi anche i bianconeri hanno fatto quello che dovevano fare».

Che partita si aspetta?

«Purtroppo sarà una sfida con grandi assenti e dal peso specifico importante. Da parte del Milan Maignan, e peraltro manca anche Sportiello, e Theo Hernandez. Due pedine che fanno anche la differenza in certe partite. Nella Juve mancherà Danilo che è una guida importante per la difesa. Poi dovremo vedere se in attacco ci saranno Vlahovic e Chiesa».

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Nella Juventus sarà assente di sicuro Fagioli: che idea si è fatto di questo caso scommesse?

«Un brutto caso. Qualcosa di difficile da capire. Si parla di ludopatia, una dipendenza: non so come nasca e fatico a trovare risposte. Uno ha il piacere di giocare, che poi si trasforma in dipendenza. Io dopo una partita a carte e mezzo in ritiro ero già stanco... Ognuno ha interessi diversi».

La squalifica di Fagioli concederà più spazi a Miretti: lei lo aveva elogiato all’esordio, cosa pensa della sua crescita?

«È un ragazzo che ha qualità e può solo migliorare. Deve maturare ancora un po’ e giocare con personalità: questa è la cosa più importante quando si gioca nella Juventus, nel Milan, nell’Inter, in Nazionale».

Milan e Juventus sono partite da due estati opposte: i rossoneri hanno cambiato tanto e Pioli ha dovuto integrare i nuovi, i bianconeri quasi niente e Allegri deve migliorare con gli stessi giocatori. A che punto sono con il lavoro?

«Pioli ha fatto un lavoro importante, è stata una scelta intelligente quella di fare la tournée per capire il valore dei giocatori. La Juventus ha speso senza cambiare, perché ha pagato giocatori arrivati in prestito negli anni precedenti. Allegri si ritrova la squadra della scorsa stagione, senza Pogba che è il giocatore che avrebbe tutto per fare la differenza, e finora per me ha fatto benissimo. Il fatto di aver cambiato poco è anche un vantaggio, conosceva i giocatori e non ha dovuto integrare nessuno».

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L’unico nuovo acquisto bianconero è stato Timothy Weah, cognome che le dice qualcosa...

«È giovane, per cui ha tempo: spero che vada vicino a emulare il papà. Sarebbe già un successo. Ho un ricordo meraviglioso di George: grandissimo campione e bellissima persona».

Diceva che aver cambiato poco per la Juve ha anche dei vantaggi. Molti sottolinenano anche il fatto che non giochi le coppe e la indicano per questo come favorita per lo Scudetto. Lei che ne pensa?

«Che non giocare le coppe sia un vantaggio in campionato è sicuro. Puoi allenare i giocatori, non si stancano con partite e viaggi e hai una settimana per preparare le partite. Per quanto riguarda lo Scudetto, ho già detto che la mia favorita è l’Inter. Con Pogba avrei messo la Juve sullo stesso piano proprio per il vantaggio di non giocare le coppe, ma senza di lui ai bianconeri manca qualcosa».

Torniamo alla sfida di domani: quanto peserà sulla classifica e quanto nella testa delle due squadre?

«Peserà sotto tutti e due gli aspetti. L’autostima è importante. Se la Juventus fa risultato a Milano capisce di essere in grado di lottare contro tutti. Il Milan, con delle assenze importanti, se fa risultato si convince di essere proprio forte e di avere una rosa competitiva per lottare su tutti i fronti».

Chi saranno gli uomini decisivi?

«Quelli che hanno classe superiore, i talenti. Però non sappiamo chi giocherà di questi...».

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A proposito di talenti, Ibrahimovic spesso ricorda quanto lei sia stato importante per farlo migliorare, soprattutto nel tiro, quando arrivò ventiduenne alla Juve. Domani si sfidano due grandi attaccanti giovani, Leao e Vlahovic: loro in cosa possono migliorare?

«Prima di far fare a Ibra il lavoro che gli ho fatto fare, l’ho studiato per un mese e mezzo, poi gli ho proposto quello che volevo da lui. Non conosco così bene né Leao né Vlahovic, per cui non sono in grado di dare suggerimenti. Avevo fatto la stessa cosa con Seedorf al Real Madrid: dopo un mese e mezzo di studio gli avevo proposto degli esercizi specifici. E siccome erano talenti, capivano immediatamente e in un mese e mezzo riuscivano a fare cose per cui un giocatore normale avrebbe impiegato un anno e senza arrivare agli stessi risultati».

Sempre Ibra ha ribadito pochi giorni fa che gli Scudetti della Juve sono 38...

«Non mi faccia ripetere... Quei campionati li abbiamo vinti sul campo. Li abbiamo vinti sul campo e li hanno regalati a qualcun altro».

Parlavamo del vuoto lasciato da Pogba, a cui ora si somma l’assenza di Fagioli. La Juventus sta sondando il mercato dei centrocampisti, chi potrebbe essere l’uomo giusto?

«Inutile fare nomi, alla Juve sanno di che cosa hanno bisogno. Giuntoli e Allegri conoscono i giocatori e sanno cosa serve. Hanno bisogno di un giocatore che faccia la differenza, il resto sono chiacchiere. Bisogna leggere quello che ha detto Guardiola l’altro giorno: la palla deve essere passata velocemente, poi ti arriva nei piedi e lì serve il talento. E la gente pensa di vincere con gli schemi... Chi ha talento ti passa la palla veloce e giusta, chi non ce l’ha te la dà male e ti mette in difficoltà».

Milan-Juve oggi è anche la sfida tra due modelli di società molto diversi: i rossoneri appartengono a una società di investimenti statunitense, i bianconeri hanno da poco celebrato i 100 anni di proprietà della famiglia Agnelli. Cosa significa avere alle spalle una famiglia così importante e da così tanto tempo?

«Ho ricordi molto belli dell’Avvocato, del dottor Umberto che mi ha fatto tornare alla Juventus da allenatore, di Andrea Agnelli. E di John e Lapo Elkann. Ho vissuto sia da calciatore che da allenatore l’esperienza di avere la famiglia Agnelli come proprietaria del club ed è qualcosa che si sente. Come durante i 20 anni di Berlusconi al Milan: sentivi che c’era qualcosa di diverso rispetto ad altri club, proprietà così trasmettono appartenenza, identità».

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Martedì Inghilterra-Italia a Wembley, domani Milan-Juve a San Siro. Giorni di ricordi intensi per Fabio Capello, autore del gol con cui gli azzurri vinsero per la prima volta all’Empire Stadium, il 14 novembre 1973, giocatore prima e allenatore poi di rossoneri e bianconeri, con cui tra campo e panchina ha vinto tutto. «Sono ricordi importanti, di soddisfazioni da una parte e dall’altra, però è il passato. Ti ritornano in mente tutti i momenti felici e anche qualche delusione, perché anche quelle vanno messe in conto - ricorda l’ex tecnico, oggi apprezzato opinionista di Sky -. Io fra l’altro metto da parte più in fretta i momenti belli, mi rimangono più dentro le amarezze».

Prima di parlare di Milan-Juve partiamo da Wembley. Come ha visto l’Italia a Londra?

«Prima della partita avevo detto che sarebbe stata una sfida molto difficile, perché l’Inghilterra ha dei talenti che noi non abbiamo e che fanno la differenza. Però ho visto una buona Italia con idee precise, credo che in così poco tempo Spalletti abbia fatto un lavoro eccezionale. Poi come sempre la differenza la fanno i calciatori quando si gioca in Nazionale, perché il livello è alto e quindi bisogna avere i migliori in campo».

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