A proposito di talenti, Ibrahimovic spesso ricorda quanto lei sia stato importante per farlo migliorare, soprattutto nel tiro, quando arrivò ventiduenne alla Juve. Domani si sfidano due grandi attaccanti giovani, Leao e Vlahovic: loro in cosa possono migliorare?
«Prima di far fare a Ibra il lavoro che gli ho fatto fare, l’ho studiato per un mese e mezzo, poi gli ho proposto quello che volevo da lui. Non conosco così bene né Leao né Vlahovic, per cui non sono in grado di dare suggerimenti. Avevo fatto la stessa cosa con Seedorf al Real Madrid: dopo un mese e mezzo di studio gli avevo proposto degli esercizi specifici. E siccome erano talenti, capivano immediatamente e in un mese e mezzo riuscivano a fare cose per cui un giocatore normale avrebbe impiegato un anno e senza arrivare agli stessi risultati».
Sempre Ibra ha ribadito pochi giorni fa che gli Scudetti della Juve sono 38...
«Non mi faccia ripetere... Quei campionati li abbiamo vinti sul campo. Li abbiamo vinti sul campo e li hanno regalati a qualcun altro».
Parlavamo del vuoto lasciato da Pogba, a cui ora si somma l’assenza di Fagioli. La Juventus sta sondando il mercato dei centrocampisti, chi potrebbe essere l’uomo giusto?
«Inutile fare nomi, alla Juve sanno di che cosa hanno bisogno. Giuntoli e Allegri conoscono i giocatori e sanno cosa serve. Hanno bisogno di un giocatore che faccia la differenza, il resto sono chiacchiere. Bisogna leggere quello che ha detto Guardiola l’altro giorno: la palla deve essere passata velocemente, poi ti arriva nei piedi e lì serve il talento. E la gente pensa di vincere con gli schemi... Chi ha talento ti passa la palla veloce e giusta, chi non ce l’ha te la dà male e ti mette in difficoltà».
Milan-Juve oggi è anche la sfida tra due modelli di società molto diversi: i rossoneri appartengono a una società di investimenti statunitense, i bianconeri hanno da poco celebrato i 100 anni di proprietà della famiglia Agnelli. Cosa significa avere alle spalle una famiglia così importante e da così tanto tempo?
«Ho ricordi molto belli dell’Avvocato, del dottor Umberto che mi ha fatto tornare alla Juventus da allenatore, di Andrea Agnelli. E di John e Lapo Elkann. Ho vissuto sia da calciatore che da allenatore l’esperienza di avere la famiglia Agnelli come proprietaria del club ed è qualcosa che si sente. Come durante i 20 anni di Berlusconi al Milan: sentivi che c’era qualcosa di diverso rispetto ad altri club, proprietà così trasmettono appartenenza, identità».