Juve e "Caso Suarez": cosa ci ha insegnato
Oggi, nel marasma dello scandalo del dossieraggio, un’inchiesta dalla quale escono miasmi irrespirabili per chi crede nella Giustizia e scopre che al suo interno ci sono pm, ufficiali o cancellieri che raccolgono - senza averne l’autorizzazione - fatti, intercettazioni, informazioni private e poi le diffondono per colpire, per fare aprire inchieste, per ottenere anche banalissimi vantaggi personali (tipo non far sorgere un albergo vicino alla propria villetta al mare). E in mezzo questo tritacarne ci finiscono le persone e le loro famiglie, senza avere nessuna possibilità di difendersi, coltivando solo la pazienza che un giudice faccia chiarezza, magari anni dopo, senza tuttavia cancellare l’infamia subita. I tifosi della Juventus, oggi, scoprono ancora una volta che il nome della loro squadra è ghiotto per chi cerca visibilità e fa gola a chi deve fare notizia, soprattutto coinvolgendolo in uno scandalo. Non importa se è vero o no, bastano un paio di intercettazioni e qualche stralcio di indagine, il resto viene da sé. E nel caso Suarez, in fondo, alla Juventus andò addirittura bene, perché la giustizia sportiva non finì nel vortice accusatorio e, attese di capire, non avviando nessun processo sulla vicenda (sui giornali erano state anche ipotizzate le pene, dalla perdita di uno scudetto alla retrocessione). Perché, spesso, i fascicoli di indagine, non ancora vagliati da un giudice terzo, finiscono per essere la base per processi e condanne sportive con pesanti conseguenze economiche, sportive e umane. E se poi un giudice dovesse stabilire che quelle non erano prove, non importa, c’è sempre la grande supercazzola della specificità della giustizia sportiva e l’articolo 4 sulla slealtà sportiva.