Pagina 0 | I quattro pilastri su cui ricostruire la Juventus del futuro

Il futuro della Juventus comincia oggi, nella scia di ottimismo che lasciano la Coppa Italia di Allegri e quindici giorni di sano e sanguigno monterismo. Niente di memorabile a livello calcistico, se non quel poco di atteggiamento offensivo in più che ha reso più frizzanti il secondo tempo contro Bologna e la gara contro il Monza, ma l’essere così profondamente e filosoficamente juventino di Paolo Montero ha ricompattato un popolo, spaccato e provato da stagioni balorde sotto tanti, troppi punti di vista. Il futuro della Juventus comincia dal talento rinfrescante di Yildiz e Fagioli, da un ritrovato Chiesa, dall’idea, quasi sempre eccitante, di poter ricominciare da capo.

Davanti c’è un’estate di speranza, nella quale proiettare un mercato intelligente e il lavoro di Thiago Motta, l’allenatore più brillante di questo campionato che ispira nuove speranze in buona parte del popolo bianconero. Il futuro della Juventus comincia perché la Juventus ha un futuro, lo ha spiegato proprio Montero parlando dei giocatori allenati negli ultimi dieci giorni, lo sperano con forza i tifosi che vengono da tre anni di sofferenze assortite. E, attenzione, la Juventus ha un futuro, ma deve andare a prenderselo, compito tutt’altro che facile e che tocca alla nuova dirigenza. Dopo aver traghettato la società dalle sabbie mobili in cui era finita, è finalmente arrivato il momento di ricostruire qualcosa, di riavviare un ciclo. E i nuovi vertici della Juventus nel gettare le fondamenta del nuovo corso dovranno piantare quattro pilastri.

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I quattro pilastri Juve

Il primo è quello tecnico: la selezione dei calciatori da portare a Torino non sarà facile, anche perché le risorse economiche non abbondano, quindi ci sono pochissimi margini di errore per Cristiano Giuntoli. Il direttore tecnico bianconero non è uno a cui bisogna spiegare il mestiere, visto il suo curriculum, ma vale la pena ribadire che dovrà farsi guidare dalla stella polare del carattere nello scegliere i rinforzi. La Juventus è mancata, tante e troppe volte in questi anni, nel fattore caratteriale della squadra, che si è sciolta nei momenti difficili, che solo raramente ha saputo combattere. E questo è un problema per un club che di quella caratteristica ha fatto l’arma vincente nel corso della sua storia. A Roma, contro l’Atalanta che ha poi asfaltato il Leverkusen, è bastato lo spirito giusto per trasfigurare in corazzata una formazione che aveva più di una carenza tecnica.

Il secondo pilastro è la Next Gen, che ieri ha terminato la stagione alle semifinali dei playoff. Come ha scritto John Elkann, lì dentro c’è il futuro della Juventus, avanti di sei anni rispetto alla concorrenza. Quel progetto va concimato e annaffiato con amore, perché darà sempre più frutti, oltretutto in un momento nel quale il fatturato del calcio inglese e quello dei grandi club europei, viaggia a velocità doppia rispetto all’Italia e le rose vanno fatte in casa, come il pane nei tempi di crisi. Il terzo pilastro è quello della juventinità. Non è un dettaglio, perché la Juventus deve ritrovare il suo popolo e la sua filosofia o, se proprio vogliamo usare un termine d’antan, il suo stile. Qualcosa che venga ravvivato in chi resterà e trasmesso rapidamente ai nuovi. Serve ripetere quel lavoro svolto nell’estate del 2011, quando nacque il ciclo più micidiale di tutti. Non è facile come scriverlo, ma è necessario perché il progetto non si incagli ai primi pareggi o alle prime sconfitte della prossima stagione. Il quarto pilastro è la ricostruzione del rispetto nei confronti della società. La Juventus è stata e viene bistrattata, deve riacquisire il suo status a livello politico e il suo peso, deve tornare a incutere il giusto timore per la storia e il blasone. Perché, di questi tempi, agli occhi dei tifosi, una difesa più energica del club da parte dei dirigenti può valere come un trofeo.

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