Un trofeo, una stagione, il passato va e il futuro riparte: un anno di Juve

Addii tra difficoltà e ricordi di splendori, tra direzioni arbitrali e un Motta che si mostra, tra strisciate e frame e direzioni a senso unico, tra cadute e forza di rialzarsi, fino alla fine
Un trofeo, una stagione, il passato va e il futuro riparte: un anno di Juve© Juventus FC via Getty Images

La prima immagine in assoluto: Federico Chiesa che segna al primo tiro in porta del campionato. Si capisce già: saremo una macchina da gol. Pochi minuti e raddoppia Vlahovic su rigore: se si comincia così, chissà quanti ce ne daranno... Rabiot a fine primo tempo. Tre a zero in trasferta, a Udine, poi una ripresa non esaltante ma su quel punteggio si può comprendere. Ecco servita la nuova Juve post stagione tragicomica di plusvalenze improvvisamente vietate, punti in classifica che vengono tolti, ridati e ritolti, squalifica Uefa perché il bilancio, gli scambi, l"'inquietante libro nero", tutto quello che vi pare, ma soprattutto non è stato bello avere promosso la Superlega.

Nel dibattito social la Juve trasformata è l'effetto Magnanelli, ex valido giocatore del Sassuolo e nuovo membro dello staff tecnico bianconero. È lui ad avere cambiato la mentalità di questa squadra, rendendola offensiva e coraggiosa. È bello credere che sia così, il mix tra l'esperienza del tecnico e l'entusiasmo del nuovo collaboratore ma le prime certezze crollano già alla seconda, quando il Bologna viene a Torino a imporre il proprio gioco e pareggiamo soffrendo: sembra bravo, il loro tecnico, seguiamolo con attenzione.

Tornano vittorie e gol contro Empoli e ancor più con la Lazio, nella giornata in cui Vlahovic e Chiesa sembrano inarrestabili e viene da chiedersi come possa andare la stagione, se la coppia continuerà così. Nuova illusione e nuovo brutto risveglio, perché a Sassuolo sembriamo in gita, Berardi "striscia" su Bremer e noi per tutta risposta ci facciamo gol da soli finché non consegniamo la vittoria ai neroverdi. Il lungo periodo delle tante feste, quasi sempre meritate anche se costantemente sofferte, talvolta risolte all'ultimo istante e sono proprio quelle le immagini più felici: Cambiaso contro il Verona dopo un assedio, sbracciate, Var, furbate, gol annullati e pali; Gatti a Monza dopo avere subito il pareggio un minuto prima, a partita ormai quasi finita. Quasi, perché questo è il periodo in cui il fin troppo abusato "fino alla fine" assume un senso sul serio. Non siamo fantastici ma fare punti contro di noi è tornato difficile, batterci quasi impossibile.

Voglia, orgoglio, adrenalina: la Juve non si ferma. È qui che Allegri alza l'asticella: obiettivo Champions, ok, ma frecciatine a chi sta sopra di noi e vince soffrendo, a volte con episodi fortunati; le guardie, i ladri, il paraocchi, fino a quel match con l'Empoli in cui teniamo fuori chi è diffidato e il ragazzo prodigio, quell'Yildiz che a tratti ci ha ricordato l'innominabile, perche la settimana prossima arriva la sfida con l'Inter. Come se contro i toscani fosse scontata, come se ormai la lotta scudetto fosse definitivamente a due e invece no, altro risveglio, il più doloroso, quello che si rivelerà definitivo, perché Milik al contrario di Berardi (e Malinovskyi proprio sul turco qualche settimana dopo) non striscia, viene espulso, segniamo comunque ma arretriamo, arretriamo, arretriamo fino a che non preghiamo Baldanzi di tirare dal limite senza avversari e piazzarla nell'angolo, perche se arretriamo ancora usciamo dallo studio.

Andiamo a San Siro e lì possiamo pure raccontarci che "se Vlahovic..." ma Dusan c'entra poco se viviamo la partita nella nostra metà campo, senza la forza o magari senza il coraggio e l'ambizione. La caduta continua, perdiamo con l'Udinese e i paraocchi, le guardie e i ladri sono ormai solo ricordi lontani, arrivano i mesi in cui i punti, forse per solidarietà con la stagione precedente, decidiamo di toglierceli da soli: non vinciamo (quasi) mai, non perdiamo (quasi) mai, si vivacchia senza morire del tutto ma che vita è quella di chi sembra avere voglia di giocare solo un tempo su due anche se ha a disposizione solo una partita a settimana? Di chi non ottiene risultati eppure non cambia, non rischia, si fa dominare dalla paura di crollare più che dell'orgoglio di reagire?

Una Coppa vinta bene, anzi benissimo, contro una squadra in forma strepitosa, l'emozione di rialzare un trofeo di fronte a un popolo finalmente riunito ma dura poco, succede quel che succede, addio a Max e tocca a Montero: soffriamo nel vederlo, nel vederci umiliati a Bologna; è un sollievo vederlo, vederci reagire ed esultare come se fosse una finale, come se avessimo vinto e non pareggiato. L'ultima immagine deve essere simbolica: potrebbe essere il Var che, nel recupero dell'ultima partita, interviene per un rigore per gli altri ma ahimè niente da fare, se la colpiscono di mano non vale. Sarebbe adatto anche Chiesa, che ha aperto e chiuso un campionato vissuto a fasi alterne nello stesso modo, con due gol da campione, e speriamo di vederne altri in futuro con la stessa maglia. Se la meriterebbe anche Alex Sandro, simbolo delle difficoltà di questi ultimi anni ma anche dello splendore che fu. L'immagine finale, mentre la Juve batte il Monza e sa che in pochi mesi cambierà quasi tutto, che la società dovrà rafforzarsi, che il nuovo tecnico dovrà rispettare le nostre (alte) aspettative, che il mercato sarà importante perché dobbiamo migliorare un po' ovunque, è tuttavia un altro. È un ragazzo cresciuto da noi che gioca con classe, si muove in modo elegante, prende una traversa, manda Chiesa in porta e poi esce tra gli applausi, non rendendosi forse neanche conto di quanto ci sia mancato. E allora buon lavoro, Juve. Coraggio, Nicolò. È tempo, finalmente, di riprendere la corsa.

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