"Conte, Juve e Scudetto: lo sapevo. In macchina per Agnelli, chi lo segue vince"

Intervista a Perinetti, il dirigente che per primo ha creduto in Antonio puntando sul suo talento in diverse situazioni e con diverse squadre

«Non ho mai avuto dubbi sul fatto che Antonio Conte fosse un predestinato per il ruolo di allenatore. Ecco perché, appena ho avuto l’opportunità, scelsi di puntare di lui». Ci aveva visto lungo e molto bene Giorgio Perinetti. Il primo direttore sportivo a credere nelle doti da tecnico del pugliese, che ieri sera col Napoli ha conquistato il quinto scudetto in panchina (3 con la Juve e 1 all’Inter), a cui va aggiunta la Premier League vinta al timone del Chelsea. Conte ha scritto la storia, diventando il primo allenatore ad aver trionfato in Serie A con tre squadre diverse.

Come mai era convinto del Conte allenatore fin dagli albori? 
«È semplice. A fine anni Novanta ero dirigente alla Juve e andavo tutte le settimane in panchina. Lì mi resi conto della personalità e della leadership di Antonio, che non a caso era il capitano di quella squadra. In mezzo a gente come Deschamps, Davids e Zidane era lui a comandare. In più era molto bravo nel leggere la gara, dando continue indicazioni ai compagni. Insomma, in lui c’erano tutte le doti per diventare un grande allenatore».

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Il Siena e il Bari

Così nel 2005 lo porta al Siena… 
«All’epoca Antonio sembrava dovesse diventare il tecnico della Juve Primavera: appena seppi che la cosa non sarebbe andata in porto, lo chiamai per fargli fare il vice di De Canio. Già durante gli allenamenti settimanali però era lui a condurre le sedute e a guidare la squadra. Gigi gli lasciava spazio e Conte mostrava di avere idee importanti».  
 
Nel dicembre 2007 gli affida la guida del Bari. Un bel coraggio vista la leccesità di Conte… 
«Venivamo dal derby perso 4-0 e serviva una svolta. Parlai con Matarrese e gli suggerii di prendere Antonio, che secondo me era un giovane allenatore in grado di cambiare la storia del calcio a Bari. Con quelle parole incuriosii il presidente, che si fidò della mia intuizione: il resto della storia la conoscete. Il primo anno ci salvammo brillantemente, vincendo in casa del Lecce e la stagione successiva andammo in Serie A».  

Nell’estate 2010 il binomio Perinetti-Conte si ricompone a Siena e arriva un’altra promozione. 
«Duellavamo contro squadroni come Torino e Atalanta, ma alla fine saliamo in A. Quell’anno passa alla storia per la sfuriata di Antonio prima della gara di Modena che compattò l’ambiente e il famoso “Gufi state a casa” che ancora oggi è virale sui social».

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"Conte, la chiamata della Juve..."

Quel campionato vinto vale a Conte la chiamata della Juve… 
«Ricordo ancora quel mercoledì di aprile in cui Antonio in macchina va da Siena a Torino per incontrare Andrea Agnelli. Appena finita la cena mi mandò un sms per dirmi che a fine stagione sarebbe diventato l’allenatore della Juventus, dicendomi “Sei stato il primo a credere in me e devi essere anche tu il primo a saperlo”».  
 
Juve, Inter, Chelsea e ora Napoli: quale è stato il trionfo più difficile? 
«Forse il primo; perché ricordo lo scetticismo che accompagnò il suo arrivo. La Juve dopo due annate fallimentari puntava su un allenatore-scommessa di Serie B per risorgere. Quell’estate Galliani e Sabatini mi chiamarono per sapere se Conte potesse davvero essere all’altezza e dissi loro “Occhio che senza coppe Antonio può portare la Juventus allo scudetto”. Sono stato buon profeta».  

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"Sincero, quasi brutale. Bonucci dice che..."

Tre aggettivi per raccontare Conte? 
«Sincero, quasi brutale per come è schietto e diretto coi giocatori. Caparbio per come vuole raggiungere la vittoria in maniera quasi ossessiva e maniacale. Visionario nel saper ottimizzare le qualità dei giocatori: con me faceva il 4-2-4, poi ha vinto tanto col 3-5-2 e a Napoli ha varato il 4-2-3-1».  
 
Il pregio principale di Antonio? 
«Bonucci dice sempre che quando giochi una partita con Conte ti sembra di averla già giocata per quanto bene te l’ha spiegata in settimana. Quando arriva un nuovo giocatore la prima cosa che Conte gli dice è “Qui si lavora”. Chi lo segue arriva lontano e vince. Lui è schietto e già dal primo discorso a inizio stagione nello spogliatoio entra nella testa e nel cuore dei calciatori. Parole che hanno un impatto fortissimo e raccontano in anticipo quello che accadrà nei mesi successivi».

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«Non ho mai avuto dubbi sul fatto che Antonio Conte fosse un predestinato per il ruolo di allenatore. Ecco perché, appena ho avuto l’opportunità, scelsi di puntare di lui». Ci aveva visto lungo e molto bene Giorgio Perinetti. Il primo direttore sportivo a credere nelle doti da tecnico del pugliese, che ieri sera col Napoli ha conquistato il quinto scudetto in panchina (3 con la Juve e 1 all’Inter), a cui va aggiunta la Premier League vinta al timone del Chelsea. Conte ha scritto la storia, diventando il primo allenatore ad aver trionfato in Serie A con tre squadre diverse.

Come mai era convinto del Conte allenatore fin dagli albori? 
«È semplice. A fine anni Novanta ero dirigente alla Juve e andavo tutte le settimane in panchina. Lì mi resi conto della personalità e della leadership di Antonio, che non a caso era il capitano di quella squadra. In mezzo a gente come Deschamps, Davids e Zidane era lui a comandare. In più era molto bravo nel leggere la gara, dando continue indicazioni ai compagni. Insomma, in lui c’erano tutte le doti per diventare un grande allenatore».

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