Si sono sopportati più che scelti. Educati - tutto sommato - nei gesti, distanti nei pensieri. Da una parte, il neo direttore generale Damien Comolli, chiamato a ridisegnare da zero la Juventus; dall’altra Igor Tudor, traghettatore ambizioso e ingombrante. Un figlio illegittimo della precedente gestione. Da giugno in poi, hanno vissuto in equilibrio tra tolleranza e rassegnazione, come se entrambi sapessero che prima o poi sarebbe arrivata l’ora del congedo. E quel momento è coinciso con la mattina di ieri, a margine del ko contro la Lazio di Sarri - il terzo consecutivo tra campionato e Champions League - che ha finito per accelerare un destino già scritto. Non c’è stato bisogno di aprire un’unità di crisi: il dg bianconero ha osservato dalle tribune dell’Olimpico, profondamente insoddisfatto e l’indomani ha agito. È bastata una telefonata secca e perentoria per sancire la fine dell’avventura in bianconero del tecnico croato, senza neanche avere pronta l’alternativa e dando la squadra a Brambilla in attesa dell’accordo con il nuovo tecnico.
Dall'urgenza Mondiale ai "no" dei prescelti
Tutto è iniziato lo scorso giugno, con la Juventus che - per il rotto della cuffia - era appena riuscita a strappare un pass per la Champions League. Arriva la nomina di Comolli al ruolo di dg, e il disegno societario per il futuro della panchina risponde al nome di Antonio Conte. Dopo i primi contatti, la pista per il salentino - che cede alle avances di De Laurentiis - sfuma e la Juve vira su Gasperini, da settimane in trattativa con i Friedkin. Ma anche in quel caso, in seguito a una chiamata tra il tecnico e Comolli, non se ne fa nulla, con Gasperini che dice definitivamente di sì alla Roma.
Il Mondiale per Club incombe e Tudor - rimasto in silenzio fino a quel momento sul suo futuro - mette in chiaro le cose: senza la riconferma, non partirà con la squadra per gli Usa.
