Torino, il flop di Juric e quelli di Cairo

Il tecnico ha perso la squadra, il presidente (da anni) il Toro

Non ne ha più, Juric. Ha finito le idee, i risultati, la carica nervosa (quella positiva, che sapeva infondere grinta e consapevolezza; di quella deleteria, che produce sconquassi in campo e in società, ha scorte evidentemente inesauribili), la fiducia – o quantomeno l’attenzione - dei giocatori alle sue disposizioni; peraltro sempre più aride, ripetitive, sconcertanti come le sue parole di ammosciamento preventivo nelle conferenze stampa. Si è arenato, nelle scelte e negli atteggiamenti, proprio nel momento in cui è stato in qualche modo munito delle risorse calcistiche migliori, o meno peggio, della sua controversa, abrasiva, all’inizio illusoria ma presto deragliante gestione tecnica. Che è responsabilità sua, al netto delle carenze societarie. Sulle quali ha poggiato e via via innervato, stratificato i propri limiti. Lo si ratifichi in anticipo o al termine di questa sua terza stagione, è come se Juric avesse già finito anche la sua ora decadente avventura granata.

Torino, Juric al capolinea?

Un’avventura partita bene, ma presto incagliatasi. Dapprima nella sua convinzione/ostinazione/presunzione di cambiare lo status quo, poi in troppe divergenze di vedute, ruvidezze caratteriali e litigi nascosti sotto il tappeto (a parte quand’è spuntato il video della rissa con Vagnati, col dt a dare della testa di c al datore di lavoro suo e dell’allenatore; roba che in nessun’altra società al mondo sarebbe stata bypassata in maniera così imbarazzante). Si è passati così al benino tendente al maluccio, fino a questo approdo penoso. Perché sì, ieri la sua squadra ha fatto pena. Esattamente come il suo (non) portiere che ha regalato due gol grotteschi a una Juve assai grata, visto l’attacco spuntato che si ritrovava. Esattamente come col Verona, esattamente come con la Lazio, esattamente come col Genoa che pure aveva battuto perché all’ultimo minuto quell’irregolare di Radonjic si era inventato dal nulla una prodezza clamorosa. Non sappiamo cos’abbia fatto Radonjic per non essere manco convocato; sappiamo però che in mezzo secondo della sua anarchia operativa ha finora fatto vedere più calcio (inteso come pallone: da giocare, da buttare oltre l’avversario, da sbattere in porta) di tutto quanto (non) prodotto dalla squadra nell’ultimo mese. Stante la reciproca insofferenza (dirigenza, giocatori, tifosi) non si vede più un futuro al Toro, per Juric; più o meno come – da troppi anni: facciamo 18, cioè da quando se ne è appropriato – non si vede un futuro di Toro nella sconfortante, sfinente, diserbante reggenza di Urbano Cairo, che pure continua a raccontare a mo’ di surreale favoletta quello che da tempo è un film horror.

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Cairo e la gestione disastrosa del Torino

Forse il presidente ci crede ancora, parlando con se stesso e con i suoi dipendenti; come alla storia di avere tenuto lui Buongiorno quando ne aveva già definito la cessione o a quella - surreale - del 75% dei tifosi che starebbero dalla sua parte, quando in realtà non lo sopporta più nessuno, nemmeno quelli che fanno finta per obbligo o per ignavia, non solo quando parla prima e regolarmente il Toro perde dopo. Quello di ieri è stato il 29° derby (derby si fa per dire) della sua gestione, gestione fallimentare sotto ogni aspetto – sportivo, progettuale, emozionale – che non sia quello dei bilanci, a lui cari sopra ogni altra cosa. Ne ha persi 23. Ne ha vinto uno, 8 anni e mezzo fa, perché la Juve in qualche modo glielo lasciò vincere. Nessuna squadra, in Italia, ha una sudditanza di risultati così deferente nei riguardi dei bianconeri, che se giocassero sempre contro il Toro vincerebbero ogni anno lo scudetto con record mostruosi di punti; nessuna squadra, in Europa, ha statistiche così umilianti nei derby.

Toro, numeri horror nei derby

Non parliamo di gol, fatti o subiti: questo Toro – con sinistro accanimento nei derby – non tira mai in porta; in compenso spalanca regolarmente, ridicolmente, vergognosamente la propria. Un napalm emotivo. Va detto che i derby di Juric - col picco negativo di ieri: mai vista una prestazione così insulsa - sono tra i peggiori della mortificante lista di Cairo, capace - flop su flop - di rendere inaccettabile un consuntivo globale che fino al suo insediamento manteneva proporzioni di decoroso equilibrio, al netto delle forze quasi sempre impari in campo (tecniche, non morali). Ma c’era il Toro, prima. Ora c’è il Torino Fc, come infatti dispregiativamente lo chiamano i tifosi granata, sempre più sfavati di fronte a tanto nulla, per distinguerlo dalle precedenti ragioni sociali, non sempre gloriose ma sempre orgogliose. Qui scriviamo ancora Toro, ma per ragioni di spazio e praticità titolistica. Lo sappiamo e pure lo scriviamo da tempo, che non lo è più.

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Non ne ha più, Juric. Ha finito le idee, i risultati, la carica nervosa (quella positiva, che sapeva infondere grinta e consapevolezza; di quella deleteria, che produce sconquassi in campo e in società, ha scorte evidentemente inesauribili), la fiducia – o quantomeno l’attenzione - dei giocatori alle sue disposizioni; peraltro sempre più aride, ripetitive, sconcertanti come le sue parole di ammosciamento preventivo nelle conferenze stampa. Si è arenato, nelle scelte e negli atteggiamenti, proprio nel momento in cui è stato in qualche modo munito delle risorse calcistiche migliori, o meno peggio, della sua controversa, abrasiva, all’inizio illusoria ma presto deragliante gestione tecnica. Che è responsabilità sua, al netto delle carenze societarie. Sulle quali ha poggiato e via via innervato, stratificato i propri limiti. Lo si ratifichi in anticipo o al termine di questa sua terza stagione, è come se Juric avesse già finito anche la sua ora decadente avventura granata.

Torino, Juric al capolinea?

Un’avventura partita bene, ma presto incagliatasi. Dapprima nella sua convinzione/ostinazione/presunzione di cambiare lo status quo, poi in troppe divergenze di vedute, ruvidezze caratteriali e litigi nascosti sotto il tappeto (a parte quand’è spuntato il video della rissa con Vagnati, col dt a dare della testa di c al datore di lavoro suo e dell’allenatore; roba che in nessun’altra società al mondo sarebbe stata bypassata in maniera così imbarazzante). Si è passati così al benino tendente al maluccio, fino a questo approdo penoso. Perché sì, ieri la sua squadra ha fatto pena. Esattamente come il suo (non) portiere che ha regalato due gol grotteschi a una Juve assai grata, visto l’attacco spuntato che si ritrovava. Esattamente come col Verona, esattamente come con la Lazio, esattamente come col Genoa che pure aveva battuto perché all’ultimo minuto quell’irregolare di Radonjic si era inventato dal nulla una prodezza clamorosa. Non sappiamo cos’abbia fatto Radonjic per non essere manco convocato; sappiamo però che in mezzo secondo della sua anarchia operativa ha finora fatto vedere più calcio (inteso come pallone: da giocare, da buttare oltre l’avversario, da sbattere in porta) di tutto quanto (non) prodotto dalla squadra nell’ultimo mese. Stante la reciproca insofferenza (dirigenza, giocatori, tifosi) non si vede più un futuro al Toro, per Juric; più o meno come – da troppi anni: facciamo 18, cioè da quando se ne è appropriato – non si vede un futuro di Toro nella sconfortante, sfinente, diserbante reggenza di Urbano Cairo, che pure continua a raccontare a mo’ di surreale favoletta quello che da tempo è un film horror.

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