Marco Bonetto Siamo dunque arrivati alla sentenza del procedimento penale contro i piloti Meroni e Bianciardi. “Sentenza di non doversi procedere”, emessa dal giudice istruttore Caccia il 2 gennaio 1950. Meno di una settimana prima, per la precisione il 27 dicembre del 1949, il procuratore della Repubblica aggiunto, Giustiniani, aveva depositato le sue conclusioni. Di conclusioni del pubblico ministero è infatti più corretto parlare, rispetto a una possibile requisitoria, giacché il procuratore “chiede che il Giudice Istruttore dichiari chiusa la formale inchiesta. Dichiari il non doversi procedere contro gli imputati per estinzione dei reati a seguito della morte degli stessi”. Siamo dunque tra Natale e Capodanno. Il 27 dicembre il pm deposita le proprie articolate conclusioni, e già il 2 gennaio il giudice istruttore emette la sentenza, nei fatti facendo proprie tutte le conclusioni del pubblico ministero e pressoché ricopiandole pedissequamente nella propria sentenza. Nella copia originaria in carta da bollo di inizio Anni 50 del procedimento penale, che stiamo analizzando e presentandovi in esclusiva da giorni, la sentenza si snoda nell’arco di 5 pagine fittamente dattiloscritte.

La sconfitta in tutti i gradi di giudizio
Come già spiegato nei giorni scorsi, quella copia originaria di inizio Anni 50 in carta da bollo venne utilizzata a suo tempo da uno degli avvocati protagonisti dei successivi procedimenti civili per la richiesta di risarcimento danni: Torino contro Ali-Aviolinee Italiane. In ogni caso, nei procedimenti civili per il club granata si materializzò poi la sconfitta in tutti e tre i gradi di giudizio: in estrema sintesi si può dire che la legislazione dell’epoca, quanto al rapporto di lavoro giuridicamente inteso tra una società di calcio e i calciatori, non riconosceva risarcimenti in casi come questi. E adesso torniamo al procedimento penale (avviato d’ufficio dalla magistratura subito dopo la tragedia del 4 maggio 1949) e alla sentenza emanata circa 8 mesi dopo. Come detto, il giudice istruttore Silvio Caccia fa proprie le conclusioni del pubblico ministero, ricopiandole pedissequamente, a conferma della richiesta del pm stesso di “non doversi procedere” contro gli imputati, i due piloti.
L'esclusiva di Tuttosport
Leggiamo la sentenza, allora, tenendo conto che sino ad ora, in tutti questi decenni, mai si era potuta conoscere nei dettagli. Come spiegato nei giorni scorsi, il fascicolo originale del procedimento penale (da non confondersi con la copia originaria in possesso di un privato, copia che Tuttosport, in esclusiva, ha potuto consultare, studiare e scansionare) sarebbe dovuto essere stato riversato negli scorsi decenni nell’Archivio di Stato di Torino, come da prassi. Ma così non accadde, ci è stato comunicato ufficialmente dai responsabili dell’Archivio che ci hanno seguito con cortese collaborazione nelle nostre ricerche dei mesi scorsi.
In esclusiva, dopo decenni
“Si precisa che, grazie al registro generale della Procura ove il procedimento si trova ascritto al n. 5222/49, si è constatato che il 27 dicembre 1949 il Pm ha formulato la richiesta a “non doversi procedere per essere estinti i reati per morte (degli imputati)”“, ci comunicò ufficialmente la direzione dell’Archivio di Stato di Torino, in data 29 novembre 2024. D’accordo: ma la sentenza dettagliata emessa dal giudice istruttore all’inizio del 1950? Eccola, oggi pubblicata in esclusiva integralmente su un organo di informazione dopo addirittura tre quarti di secolo.
“In nome del popolo...”
“In nome del popolo italiano, l’anno 1950, il giorno 2 del mese di gennaio, in Torino, il giudice istruttore ha pronunciato la seguente sentenza”.
“Procedimento penale contro Meroni Pier Luigi (...) nato a Milano il 8 maggio 1915, deceduto, e Bianciardi Cesare (...) nato a San Quirico d’Orcia il 18 agosto 1914, deceduto, imputati:
A) del reato di cui all’articolo 449 del codice penale” (delitti colposi di danno, ndr) “per avere in Torino, il 4 maggio 1949, essendo alla guida di un velivolo adibito al trasporto di persone, omesso di seguire le disposizioni impartite da terra circa la quota di volo, per non avere comunque usato la dovuta prudenza nel procedere entro lo strato di nubi incontrato sulla rotta, per avere portato l’apparecchio a cozzare contro il terrapieno della Basilica di Superga ed a infrangersi al suolo;
B) del reato dell’articolo 589 del codice penale” (omicidio colposo, ndr) “ per avere nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al precedente capo, essendo alla guida di un velivolo adibito a trasporto di persone, per imprudenza, negligenza ed inosservanza di precise disposizioni, cagionato, con la caduta al suolo dell’apparecchio, la morte di...”: segue l’elenco di tutti gli altri caduti.
Le 31 vittime
Trentuno le vittime, considerando anche i due piloti Meroni e Bianciardi, esperti e stimati militari prestati all’aviazione civile, eroi di guerra pluridecorati (Meroni, primo pilota in quell’ultimo viaggio, era anche istruttore di volo strumentale, di volo cieco). Con i due piloti caddero gli altri due membri dell’equipaggio D’Inca e Pangrazzi, i giocatori Bacigalupo, Ballarin Aldo e Ballarin Dino, Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli, Mazzola, Menti, Operto, Ossola, Rigamonti, Schubert, i dirigenti e tecnici Agnisetta, Civalleri, Cortina, Egri Erbstein, Lievesley, il collaboratore Bonaiuti, e i giornalisti Cavallero, Tosatti e Casalbore, fondatore e primo direttore di Tuttosport. Ordunque, dopo aver riassunto i capi di imputazione ed elencato le vittime, il giudice istruttore Silvio Caccia “osserva: il fatto si riassume in poche gelide parole. Verso le 17 del 4 maggio 1949 il trimotore da trasporto delle Aviolinee Italiane G.212 I-Elce, pilotato da Meroni Pier Luigi e Bianciardi Cesare, di ritorno da Lisbona e avente a bordo l’intera squadra del Torino, dirigenti e giornalisti, cozzava contro il terrapieno su cui poggia la Basilica di Superga e si infrangeva al suolo. Nessuno dei passeggeri, i cui nomi sono trascritti in epigrafe, si salvava ed alle persone sopraggiunte non era dato recar aiuto di sorta alle vittime”.
”Una risonanza mondiale”
“L’entità della tragedia che, segnatamente in rapporto alla notorietà dei morti, destò risonanza mondiale, rese più assillante la immediata ricerca delle cause determinanti il sinistro. Purtroppo però gli uomini dell’equipaggio, che al riguardo avrebbero potuto fornir precise notizie, avevano lasciato la vita nel disastro, tal che le pronte indagini non poterono che far capo a semplici congetture”. Il giudice istruttore (così come il pm), ha dunque ben chiaro, ovviamente, quanto già avevano scritto nella loro perizia tecnica gli ingegneri incaricati dallo stesso giudice Caccia. Ovvero, citando dalla puntata di ieri: “Ricostruzione ipotetica dell’incidente (...). Non si possono conoscere le ragioni che hanno spinto l’equipaggio, composto da persone di provata capacità ed esperienza, sia alla inosservanza delle disposizioni del volo strumentale, sia a trascurare di guadagnare almeno la quota necessaria a superare con certezza la massima altezza della barriera collinare di Torino, a meno che il pilota non abbia creduto di poter aggirare tale barriera, portandosi fortemente a Est. E ciò sarebbe confermato dalla direzione in cui l’apparecchio è stato rilevato dal radiogoniometro, direzione che è già fuori dalla rotta abituale Savona-Torino. Non è da escludersi anche una certa penuria di carburante, confermata dalla limitata estensione dell’incendio successivo all’incidente, penuria che può aver consigliato il pilota a cercar di raggiungere il campo (l’aeroporto dell’Aeritalia, ndr) in un tempo minore di quello che sarebbe stato necessario dovendo effettuare il volo strumentale”. Gli stessi periti ingegneri sottolinearono nella loro perizia tecnica stesa per la magistratura l’eccezionale problematica oggettiva emersa quanto alle comunicazioni radiotelegrafiche tra marconisti di terra e a bordo, “ostacolate da disturbi atmosferici e interfe renze di altre stazioni”.
Fu colpa della manovra?
Di conseguenza, il pm scrive e il giudice istruttore parimenti ribadisce nella sua sentenza che “di certo non si ebbero che due elementi desunti da circostanze sicure”: ovvero “le pessime condizioni atmosferiche del momento e del luogo (spessa coltre di nubi avvolgenti la tragica collina) e la bassa quota tenuta dall’aereo”, nonché “la modesta entità dell’incendio susseguente alla caduta, segno probabile di scarsità di carburante”. “Le persone esperte, incaricate di accertare la causa dell’accidente, dopo aver escluso attraverso una indagine quanto mai precisa e scrupolosa che il cozzo dell’aereo contro il terrapieno fosse da attribuirsi a negligenza del personale di terra incauto nel fornire i dati necessari al volo strumentale e ad avarie del veicolo, hanno convenuto che il disastro debba ritenersi dipeso dalla manovra dei piloti”. Ma, arrivati esattamente a questo punto, tanto il pm quanto il giudice istruttore si domandano nei loro rispettivi testi, quasi retoricamente: “Fu tale manovra colpevole?”. In parole povere, si chiedono: qualcuno è in grado di dire con ragionevole sicurezza e certezza che i piloti abbiano effettuato quelle manovre per colpa, durante un volo così drammatico (infine tragicamente conclusosi) fra comunicazioni radiotelegrafiche continuamente disturbate e interrotte, nel pieno di una tempesta di pioggia, immersi nella nebbia e pure con poco carburante a bordo?
“Mera congettura"
Andiamo avanti nella lettura della sentenza, allora: “Fu tale manovra colpevole? L’aver proceduto a quota inferiore a quella indicata da terra, nonostante la coltre di nubi, fu comportamento dominato da negligenza ed imprudenza o non piuttosto determinato da inderogabili necessità, quali il guasto di qualche apparecchio o la mancanza di benzina?”. “Purtroppo la morte del Meroni e del Bianciardi, che estinguendo il reato rende impossibile l’azione penale, toglie ogni rilevanza ai quesiti”. Quesiti che dunque rimangono senza risposta, sospesi ieri come oggi come domani. D’altra parte non c’era il radar nel piccolo aeroporto dell’Aeritalia, le uniche comunicazioni trascritte poterono essere quelle radiotelegrafiche terra-bordo-terra, e non esistevano né la scatola nera né ovviamente i tracciati satellitari, nel 1949. E anche le indagini sul relitto dell’aereo, sulla strumentazione di bordo e sui motori non poterono dimostrare alcunché . Citiamo dalla perizia degli ingegneri: “Tutti gli strumenti (...)” erano “ridotti in condizioni tali da non consentire alcun rilievo”.
L'ipotesi colpa dei piloti
Indi per cui il giudice istruttore Caccia così prosegue nella sua sentenza: “Si può solo osservare che la conclamata perizia dei piloti” (cioè la loro ben nota capacità ed esperienza) “controindica una ipotesi di loro colpa, ma la considerazione, frutto del resto di mera congettura, è, ripetesi, sfornita di sostanziale valore e di essa vi si dà carico solo a titolo di doverosa riserva nei confronti di chi non è più, per fatalità di eventi, nella possibilità di difendersi”. “P.Q.M.” (formula di rito che sta a indicare: per questi motivi) il giudice istruttore Silvio Caccia, “visti gli articoli 150 Codice Penale - 378 384 Codice di Procedura Penale sulle conformi richieste del Pubblico Ministero, dichiara chiusa la formale istruttoria. Non doversi procedere contro Meroni Pier Luigi e Bianciardi Cesare per estinzione dei reati, agli stessi come in rubrica ascritti, a seguito della morte dei medesimi”.
Il ministro della difesa
Come già sottolineammo un anno fa nel corso di una precedente inchiesta giornalistica sulla tragedia di Superga, pubblicata su Tuttosport il 26 aprile del 2024, il ministro della Difesa Pacciardi dichiarò che (atti parlamentari, seduta del Senato del 9 giugno 1949, risposte alle interrogazioni del senatori Giardina e Grisolia) “le conclusioni alle quali è pervenuta la Commissione d’inchiesta” (militare, ministeriale, che precedette quella della magistratura) “per l’incidente di Superga hanno assodato che esso non è dovuto a difettoso funzionamento dell’organizzazione preposta all’assistenza al volo” da terra (comunicazioni ripetute e corrette). “È invece da ritenersi attendibile che il comandante l’aeromobile giudicasse la sua posizione più arretrata o più deviata rispetto alla posizione reale. Questo errore di valutazione può averlo indotto a condurre la navigazione senza la preoccupazione di poter urtare contro la collina di Superga. È anche da supporre, a giustificazione del comandante del velivolo, che i rilevamenti radiogoniometrici effettuati a bordo” per stabilire la posizione dell’aereo “non siano stati del tutto precisi a causa delle particolari condizioni atmosferiche (stati elettrici localizzati e temporali) ed abbiano portato (...) ad un errore di valutazione della posizione dell’aereo, sia pure di misura limitata”.
Concause: anche il vento?
Secondo l’inchiesta militare ministeriale, insomma, i piloti dell’aereo, immersi nella nebbia, erano convinti di essere in una posizione nel cielo leggermente diversa da quella realmente occupata. Secondo i militari, per evitare la tragedia sarebbe stato sufficiente che l’aereo volasse più in alto di una settantina di metri. Oppure sarebbe bastata una differenza di una decina di secondi nella tempistica di quell’ultima virata a sinistra, che portò l’aereo a scontrarsi frontalmente contro il terrapieno dietro alla basilica. Con i piloti inconsapevoli davvero fino all’ultimo secondo: come abbiamo potuto spiegare ieri analizzando i verbali del procedimento penale relativi ai bollettini meteo della stazione meteorologica di Superga, la visibilità orizzontale sul colle era di 40 metri (30 metri di visibilità verticale) per via della nebbia fittissima in una tempesta di pioggia e vento. Con l’aereo che intanto viaggiava a circa 300 chilometri all’ora.
“La scarsezza di carburante residuo”
E quell’errata “valutazione della posizione dell’aereo, sia pure di misura limitata”, ma già sufficiente per risultare tragicamente decisiva, potrebbe essere stata causata non soltanto dalle ripetute interruzioni e dai disturbi continui delle radiocomunicazioni terra-bordo-terra: comunicazioni, ricordiamolo, indispensabili sia per stabilire la posizione dell’aereo attraverso indicazioni e calcoli radiogoniometrici (frutto di scambi di segnali radio tra i marconisti a terra e sull’aereo), sia per tarare manualmente i tre altimetri presenti sul velivolo, sulla base della pressione barometrica al suolo anch’essa indicata, trasmessa dall’aeroporto. Quell’errata “valutazione della posizione dell’aereo, sia pure di misura limitata”, potrebbe però essere stata influenzata in parte anche dal vento contrario che, quantomeno nell’ultima mezz’ora prima della tragedia (sempre come da bollettini meteo messi a verbale), spirava sulle colline che cingono Torino a una “velocità al suolo” cresciuta fino a “10 nodi - 5,2 metri al secondo”. E anche la preoccupazione per “la penuria”, per “la scarsezza di carburante residuo” (come da perizia degli ingegneri; pm e giudice istruttore non escludono in una delle loro domande retoriche addirittura una vera e propria “ mancanza di benzina”), anche tale preoccupazione, si diceva, potrebbe aver condizionato le possibilità di scelta per i piloti. Era il 4 maggio di 76 anni fa. Riposino tutti in pace e per sempre, nei nostri cuori e nei cuori di tutti.
Siamo dunque arrivati alla sentenza del procedimento penale contro i piloti Meroni e Bianciardi. “Sentenza di non doversi procedere”, emessa dal giudice istruttore Caccia il 2 gennaio 1950. Meno di una settimana prima, per la precisione il 27 dicembre del 1949, il procuratore della Repubblica aggiunto, Giustiniani, aveva depositato le sue conclusioni. Di conclusioni del pubblico ministero è infatti più corretto parlare, rispetto a una possibile requisitoria, giacché il procuratore “chiede che il Giudice Istruttore dichiari chiusa la formale inchiesta. Dichiari il non doversi procedere contro gli imputati per estinzione dei reati a seguito della morte degli stessi”. Siamo dunque tra Natale e Capodanno. Il 27 dicembre il pm deposita le proprie articolate conclusioni, e già il 2 gennaio il giudice istruttore emette la sentenza, nei fatti facendo proprie tutte le conclusioni del pubblico ministero e pressoché ricopiandole pedissequamente nella propria sentenza. Nella copia originaria in carta da bollo di inizio Anni 50 del procedimento penale, che stiamo analizzando e presentandovi in esclusiva da giorni, la sentenza si snoda nell’arco di 5 pagine fittamente dattiloscritte.

La sconfitta in tutti i gradi di giudizio
Come già spiegato nei giorni scorsi, quella copia originaria di inizio Anni 50 in carta da bollo venne utilizzata a suo tempo da uno degli avvocati protagonisti dei successivi procedimenti civili per la richiesta di risarcimento danni: Torino contro Ali-Aviolinee Italiane. In ogni caso, nei procedimenti civili per il club granata si materializzò poi la sconfitta in tutti e tre i gradi di giudizio: in estrema sintesi si può dire che la legislazione dell’epoca, quanto al rapporto di lavoro giuridicamente inteso tra una società di calcio e i calciatori, non riconosceva risarcimenti in casi come questi. E adesso torniamo al procedimento penale (avviato d’ufficio dalla magistratura subito dopo la tragedia del 4 maggio 1949) e alla sentenza emanata circa 8 mesi dopo. Come detto, il giudice istruttore Silvio Caccia fa proprie le conclusioni del pubblico ministero, ricopiandole pedissequamente, a conferma della richiesta del pm stesso di “non doversi procedere” contro gli imputati, i due piloti.