Federer, laurea honoris causa e retroscena su finale Wimbledon 2008 contro Nadal

La leggenda del tennis ha ricevuto il riconoscimento all’Università di Dartmouth: cosa ha rivelato durante il discorso
Federer, laurea honoris causa e retroscena su finale Wimbledon 2008 contro Nadal

Mentre al Roland Garros di Parigi si è festeggiata la vittoria di Carlos Alcaraz, nel New England Roger Federer è stato insignito della laurea honoris causa per “essere stato d’ispirazione e aver cambiato vite” e “aver usato la propria voce di sportivo per migliorare la qualità della vita di molti” grazie alla sua fondazione. La leggenda del tennis ha ricevuto il riconoscimento al Dartmouth College nel New Hampshire, dove ha ricevuto la toga dei dottorati e ha tenuto il Commencement speech, il tradizionale discorso rivolto ai neolaureati in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi. Il campione ha esordito ricordando il suo primo discorso: "che è stato quando ho esordito nella squadra nazionale svizzera. Avevo 17 anni ed ero così nervoso che non riuscivo a dire più di quattro parole". 

Federer, la prima lezione: "Senza sforzo è un mito"

Dopo aver ammesso di sentirsi a disagio in un campus universitario avendo abbandonato la scuola a sedici anni, ha detto: "Happy to be here”. Essere “Dottor Federer, è la mia vittoria più inaspettata”. E ancora: "L'erba è la mia superficie preferita. "Big Green”... deve essere il mio destino!". Come voi, anch’io ho appena finito una tappa della mia vita, come voi anche a me chiedono sempre cosa farò dopo”, ha proseguito, per poi aggiungere: “Io oggi accompagno i figli a scuola, gioco a scacchi online, passo l’aspirapolvere a casa”…si è schernito, prima di rivolgere il suo Commencement speech, intitolandolo “Lezione di transizione, cosa ho imparato dal tennis"". Il prmo consiglio di Federer agli studenti è stato: “Senza sforzo”... è un mito". "La gente diceva che la mia opera era senza sforzo. La maggior parte delle volte era un complimento... Ma mi sentivo frustrato quando dicevano: “Ha sudato appena un po'!”. O “Ci sta almeno provando?”. La verità è che ho dovuto lavorare molto duramente... per farlo sembrare facile. Ho passato anni a lamentarmi, a imprecare, a lanciare la racchetta... prima di imparare a mantenere la calma. Il campanello d'allarme arrivò all'inizio della mia carriera, quando un avversario agli Open d'Italia mise pubblicamente in discussione la mia disciplina mentale. Disse: “Roger sarà il favorito per le prime due ore, poi sarò io il favorito”. 

Il talento, la fiducia in se stessi e il retroscena

"All'inizio rimasi perplesso. Ma alla fine ho capito cosa stava cercando di dire. Tutti possono giocare bene le prime due ore. Sei in forma, sei veloce, sei lucido... e dopo due ore le gambe vacillano, la mente inizia a vagare e la disciplina comincia a svanire. Mi ha fatto capire... Ho tanto lavoro davanti a me e sono pronta ad affrontare questo viaggio. Ho capito", ha proseguito l'ex tennista. Poi ha affermato: "I miei genitori, i miei allenatori, il mio preparatore atletico, tutti mi avevano esortato e ora anche i miei rivali lo stavano facendo. Giocatori!!! Grazie! Vi sono eternamente grato per quello che avete fatto. Così ho iniziato ad allenarmi più duramente. Molto di più. Ma poi ho capito che vincere senza sforzo è il massimo". L'ammissione: "Non sono arrivato dove sono arrivato solo grazie al talento. Ci sono arrivato cercando di superare i miei avversari. Ho creduto in me stesso. Ma la fiducia in se stessi deve essere guadagnata". Federer ha poi rivelato: "C'è stato un momento, nel 2003, in cui la mia autostima ha davvero preso il sopravvento. È stato alle ATP Finals, dove si qualificano solo i migliori otto giocatori. Ho battuto alcuni giocatori di alto livello che ammiravo molto puntando proprio sui loro punti di forza. Prima, invece, fuggivo dai loro punti di forza. Se un giocatore aveva un dritto forte, cercavo di colpire il suo rovescio. Ma ora... cercavo di colpire il suo dritto. Ho cercato di battere gli attaccanti dalla linea di fondo. Ho cercato di battere gli attaccanti attaccando. Ho cercato di battere gli attaccanti dalla rete. Ho corso un rischio facendo così. Perché l'ho fatto? Per amplificare il mio gioco e ampliare le mie opzioni. Hai bisogno di un intero arsenale di punti di forza... così se uno di essi si rompe, ti rimane qualcosa".

La seconda lezione di Federer: "È solo un punto

Nel secondo passaggio del lungo discorso di Federer ha ricordato le sue sconfitte. "Si può lavorare più duramente di quanto si pensasse possibile... e perdere comunque. A me è capitato. Il tennis è brutale. Non si può evitare che ogni torneo finisca allo stesso modo... un giocatore riceve un trofeo", ha raccontato Roger. Ed ancora: "Per me, una delle più grandi è stata la finale di Wimbledon nel 2008. Io contro Nadal. Alcuni la definiscono la più grande partita di tutti i tempi. Ok, con tutto il rispetto per Rafa, ma credo che sarebbe stato molto meglio se avessi vinto io...Perdere a Wimbledon è stato un grosso problema... perché vincere Wimbledon è tutto". "Nel tennis la perfezione è impossibile... Nei 1.526 incontri di singolare che ho giocato nella mia carriera, ho vinto quasi l'80% delle partite... Ora, ho una domanda per tutti voi: quale percentuale di punti pensate che abbia vinto in quelle partite? Solo il 54%", ha rivelato. Ed ancora: "La verità è che qualsiasi partita si giochi nella vita... a volte si perde. Un punto, una partita, una stagione, un lavoro... sono montagne russe, con molti alti e bassi". 

La terza lezione: "La vita è più grande del campo"

"Ho lavorato molto, imparato molto e percorso molti chilometri in quel piccolo spazio (il campo da tennis, ndr)... Ma il mondo è molto più grande di così... Anche quando ero agli inizi, sapevo che il tennis avrebbe potuto mostrarmi il mondo... ma il tennis non avrebbe mai potuto essere il mondo", ha ammesso l'ex tennista. Federer ha ricordato la lezione della mamma sudafricana di aprire il proprio sguardo al mondo, che “l’istruzione lontano dalla Svizzera non era scontata”. Da qui è nato l’impegno con la Fondazione Roger Federer e l’impegno nell’aprire scuole in Lesotho, Malawi, Namibia, Zambia, Zimbabwe e Sud Africa. “Il tennis come la vita è uno sport di squadracome voi io ho scelto una disciplina e poi ho avuto l’opportunità di andare sempre più in profondità ed allargare i miei orizzonti”. E ricordando il motto di un ex allenatore di football di Dartmouth, Buddy Teevens, ha ripetuto: “Siete stati grandi studenti duranti gli anni di università, siate grandi persone sempre”. Poi l'ltimo consiglio ai neolaureandi: "Quando andrete in giro per il mondo, non dimenticate che potrete portare con voi tutto questo... questa cultura, questa energia, queste persone, questo colore verde... Gli amici che vi hanno spinto e sostenuto a diventare la versione migliore di voi stessi... gli amici che non smetteranno mai di fare il tifo per voi, proprio come oggi".

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