Sinner autocritico dopo il ko contro Alcaraz: amarezza e timori per Jannik

Il campione azzurro: "Lui bravo a cambiare l’assetto del gioco fin dalle prime battute del secondo set, ma io l’ho permesso, ho fatto una scelta conservativa. Adesso spero di poter giocare a Miami senza acciacchi”
Sinner autocritico dopo il ko contro Alcaraz: amarezza e timori per Jannik© EPA

Il tennista che vince sempre non l’hanno ancora inventato. Non lo è Jannik Sinner, costretto a prendere atto della prima sconfitta stagionale, e non lo è nemmeno Carlos Alcaraz, che ha portato a casa un successo che dissolve molti dei dubbi accumulati nelle settimane di dominio del rivale-amico italiano, ma alla fine lascia le cose come stavano. Lo spagnolo si tiene il numero due, Jannik resta un gradino sotto sul podio dei più forti. Ma era solo il primo attacco, l’eventuale sorpasso resterà materia fissa dei tornei che verranno. E se sorpasso ci sarà, prenderà forma immediata l’ipotesi del contro-sorpasso, a dare corpo e sostanza a un duello che finirà per avvicinare i due all’unico vero obiettivo, il primato di Djokovic.

Sinner "quasi imbattibile"

La storia del nostro sport ha dato forma, con il passare degli anni a una riserva speciale, quella dei “quasi imbattibili”, paragonabili ai vini che si distinguono per equilibrio, profondità, lunghezza, carattere e complessità, tutti indicatori - guarda caso - che potrebbero appartenere anche al gioco con la racchetta. A essa si può iscrivere d’ufficio Jannik (16-1 quest’anno) ma non ancora Carlitos, che nel suo anno migliore (il 2023, cifre alla mano) ha vinto 65 match ma è stato troppo generoso nelle sconfitte, addirittura 12. Tennisti in barrique, possiamo anche definire i campioni giunti vicini alla perfezione, senza mai dimostrarsi immuni però dai disagi delle cadute improvvise, e dai dolori che certune comportano. John McEnroe, di quel 1984 che lo vide battuto appena in tre match (82 le vittorie, 13 i trofei alzati), oggi ricorda come un incubo quasi soltanto la sconfitta con Ivan Lendl a Parigi, in una finale che lo vide avanti di due set. Credo di poter dire lo stesso di Novak Djokovic, che alla storia tiene come dimostrazione immediata della propria grandezza… Basterebbe porgli una domanda sul 2021, stagione da 55 vittorie e 7 sconfitte: fu l’anno del Grand Slam sfiorato, o quello in cui la certezza della conquista più grande franò nella finale di New York sotto i colpi di Daniil Medvedev? Penso sceglierebbe la seconda versione, se solo potesse (o gli andasse) rispondere con il candore della schiettezza più assoluta.

Le parole di Sinner

Il gioco dei ricordi può servire a mitigare lo stato d’animo di Jannik Sinner, tendente da sabato notte (notte fonda per l’Italia) all’afflizione più accorata. C’è in ogni sconfitta un riferimento diretto a ciò che non si è stati in grado di fare, e nella rivisitazione della stessa (avviata da subito, se ho imparato a conoscere il livello autocritico del giovane azzurro) traspare immediata la delusione per le occasioni mancate giocando nel modo sbagliato. Jannik non è uno sciocco, e ha capito subito che avrebbe dovuto fare altro. Meglio, avrebbe dovuto continuare a fare ciò che stava facendo. Era stato sin troppo bravo a uscire per primo dai blocchi di partenza, dopo la lunga sosta (oltre un’ora) per l’acquazzone, un altro dei fenomeni naturali (la pioggia nel deserto) che ci ha voluto dispensare questa edizione del quinto Slam, insieme con le api in cerca di casa, e il serpente velenoso ma non troppo, comparso sotto le panche durante le qualifiche. Dal 2-1 dell’avvio al 6-1 in un amen, a fronte di un gioco a tutto campo inarrestabile, che ha costretto Alcaraz in grande confusione. «Lui è stato bravo a cambiare l’assetto del suo gioco, sin dalle prime battute del secondo set, ma io gliel’ho permesso, perché ho fatto una scelta più conservativa, quella di attestarmi su un tennis solido. Ho dato per scontato che sarebbe bastato, visto il vantaggio che avevo preso nel primo set, mentre avrei dovuto continuare a imporre il mio ritmo e le mie trame. Lì lui ha cambiato il destino del match». Che ha preso una brutta piega nel secondo set e pessima nel terzo, quando su Jannik ha cominciato a farsi sentire qualche piccolo problema fisico. Un ginocchio (il sinistro, «quasi si fosse bloccato dietro») che non gli permetteva più di essere rapido negli spostamenti laterali, e la botta presa al polso per una caduta su un tentativo di recupero di una volée agganciata con grande intuizione da Alcaraz al termine di uno scambio vibrante.

Sinner: "Spero di poter giocare a Miami senza acciacchi"

Ma era a quel punto un Sinner già molto falloso negli scambi, disilluso e inquieto per l’errore tattico commesso, sul quale non riusciva più a intervenire per cambiare il corso delle cose. «Nel secondo, subìto il break, ho avuto una o due chance di riaggancio, sfuggite di un niente, più per la bravura di Carlos che per gli errori da me commessi. Nel terzo ho avvertito di avere ormai compromesso il match». Era un Sinner confuso, quello delle fasi finali. Instabile nel servizio e incline all’errore negli scambi prolungati, soprattutto con il dritto che sembrava aver perso sensibilità. In questa disamina, che condivido a grandi linee con Sinner, manca del tutto come si vede il fattore “secondo posto”. Non voglio dire che fosse un falso problema, di certo il primo a gioire della promozione sarebbe stato Sinner (anche per la finale da giocare, la terza della stagione), ma preferisco attenermi a quanto dichiarato da Jannik in corso d’opera. «Non è la priorità, se arriverà ne sarò felice, ma sarà esclusivamente perché mi sono allenato a dovere e ho compiuto le scelte giuste». Era solo il primo assalto, il prossimo è già previsto a Miami, dove Jannik fu finalista l’anno scorso. Sarà Alcaraz (che fu semifinalista) a dover evitare in questo caso sconfitte repentine. «Spero di poter giocare a Miami senza acciacchi», si augura Sinner, «la stagione è lunga…». E lui se la vuole giocare fino in fondo.

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