Pagina 2 | Inter e Juve, la giustizia non è uguale: l’abissale differenza di trattamento

Se la giustizia non è uguale per tutti non è giustizia. È qualcos’altro e fa quasi paura scoprire cos’è. Ma senza giustizia non può esserci pace. E, infatti, nel calcio italiano non c’è pace da vent’anni perché la disparità di trattamento, da Calciopoli in poi, continua a scavare un solco di rabbia e frustrazione che divide chi vede applicazioni diverse delle stesse regole. Il patteggiamento di Simone Inzaghi e Hakan Calhanoglu per il “caso ultrà” aggiunge un altro spinoso capitolo della storia delle incongruenze che la giustizia sportiva ha scritto dal 2006 a oggi.

La disparità di trattamento tra Inter e Juve

Chiariamo subito un fatto: il patteggiamento che riduce da due a una giornata la pena dell’allenatore e del centrocampista dell’Inter ci sembra giusto. È un istituto che fa parte delle regole e il risultato riconosce la complessità e la pericolosità delle circostanze in cui si sono trovati i due. Ma come si può spiegare ai tifosi della Juventus che hanno visto il loro club e il loro presidente trattati in modo completamente differente nel 2017? Può bastare il dettaglio giuridico che il patteggiamento, allora, non esisteva? No, perché Agnelli prese 12 mesi (poi ridotti a 3) e la società beccò 700mila euro di multa. No, perché il caso della Juventus venne trattato dalla Procura Federale con un approccio decisamente meno garantista, venne ipotizzato davanti alla Commissione Antimafia che Andrea Agnelli avesse diretti contatti con la Ndrangheta (citando un’intercettazione inesistente), la richiesta iniziale di 30 mesi di inibizione spiega bene lo spirito che guidava gli inquirenti della Figc otto anni fa e raffrontare una richiesta di trenta mesi con una di due giornate (ridotte a una con il patteggiamento) fa un certo effetto. E il solerte vigore con cui la giustizia sportiva aveva affrontato la vicenda della Juventus aveva condizionato in modo decisivo la narrazione mediatica. Il club e i suoi dirigenti erano stati sbattuti in prima pagina, associati senza particolari distinguo alla Ndrangheta con la quale era stata spesso lasciata intendere una sorta di connivenza. A distanza di otto anni la Procura Federale è intervenuta in modo felpato, agendo con discrezione fino all’ultimo atto, la cui diffusione nel giorno del Primo Maggio ha un tempismo singolare e ha garantito, nel giorno di festa e senza quotidiani il giorno dopo, il minimo rumore possibile. Insomma, da una parte uno sputtanamento pesante e infamante (non si parlava di un rigore non dato, ma di connivenza con la malavita organizzata...), dall’altra una garbata sordina. Come si fa a spiegare una così abissale differenza di trattamento?

 

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La giustizia a orologeria 

Perché non si tratta di decidere quale pena e quale atteggiamento è giusto, se la severità del 2017 o il perdonismo del 2025, ma di spiegare un’applicazione così dispari della legge di fronte a fattispecie sostanzialmente identiche. Anzi, no. Perché la Juventus, per volere del poi punito Andrea Agnelli, aveva collaborato in modo fattivo alle indagini della Procura di Torino, coinvolgendo un suo dirigente in scomodissime registrazioni, denunciò gli ultrà (con il risultato di non avere più tifo) e si ritrovò con la curva azzerata. Ancora una volta, insomma, a milioni di tifosi juventini non tornano i conti e torna invece la sgradevole sensazione di una giustizia sghemba, che guarda il colore della maglia prima di modulare le sue decisioni. Quella giustizia che ignora le intercettazioni dell’Inter in Calciopoli e quando proprio non può fare a meno di scoprirle (mentre zampillano dal processo penale di Napoli), le mette in un cassetto fino a che - oh mannaggia! - non giunge la prescrizione. Quella giustizia che scatta come Marcell Jacobs quando c’è un procedimento a carico della Juventus, procurandosi le carte in tutti i modi e in tutte le tempistiche (ah, quei misteriosi blitz a Torino durante l’inchiesta Prisma), mentre si prende tutto il tempo, aspettando pazientemente, quando il procedimento è a carico di altri club; quella che ancora non ha spiegato perché per le plusvalenze ha pagato solo e soltanto la Juventus, nonostante quelle degli altri siano sotto gli occhi di tutti, lampanti (e sotto inchiesta da parte di procure della Repubblica) e citate come «problema di sistema» da numerosi report della Fifa, dell’Uefa e della stessa Figc (sì, «problema di sistema», ma dieci punti di penalizzazione e un danno da 100 milioni li becca solo la Juventus). La credibilità di qualsiasi cosa dipende dalla sua coerenza e dalla sua imparzialità. Come fa, oggi, il sistema della giustizia sportiva a ritenersi credibile di fronte a tali discrepanze? E come fa il sistema calcio ad accettarlo?

 

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Perché non si tratta di decidere quale pena e quale atteggiamento è giusto, se la severità del 2017 o il perdonismo del 2025, ma di spiegare un’applicazione così dispari della legge di fronte a fattispecie sostanzialmente identiche. Anzi, no. Perché la Juventus, per volere del poi punito Andrea Agnelli, aveva collaborato in modo fattivo alle indagini della Procura di Torino, coinvolgendo un suo dirigente in scomodissime registrazioni, denunciò gli ultrà (con il risultato di non avere più tifo) e si ritrovò con la curva azzerata. Ancora una volta, insomma, a milioni di tifosi juventini non tornano i conti e torna invece la sgradevole sensazione di una giustizia sghemba, che guarda il colore della maglia prima di modulare le sue decisioni. Quella giustizia che ignora le intercettazioni dell’Inter in Calciopoli e quando proprio non può fare a meno di scoprirle (mentre zampillano dal processo penale di Napoli), le mette in un cassetto fino a che - oh mannaggia! - non giunge la prescrizione. Quella giustizia che scatta come Marcell Jacobs quando c’è un procedimento a carico della Juventus, procurandosi le carte in tutti i modi e in tutte le tempistiche (ah, quei misteriosi blitz a Torino durante l’inchiesta Prisma), mentre si prende tutto il tempo, aspettando pazientemente, quando il procedimento è a carico di altri club; quella che ancora non ha spiegato perché per le plusvalenze ha pagato solo e soltanto la Juventus, nonostante quelle degli altri siano sotto gli occhi di tutti, lampanti (e sotto inchiesta da parte di procure della Repubblica) e citate come «problema di sistema» da numerosi report della Fifa, dell’Uefa e della stessa Figc (sì, «problema di sistema», ma dieci punti di penalizzazione e un danno da 100 milioni li becca solo la Juventus). La credibilità di qualsiasi cosa dipende dalla sua coerenza e dalla sua imparzialità. Come fa, oggi, il sistema della giustizia sportiva a ritenersi credibile di fronte a tali discrepanze? E come fa il sistema calcio ad accettarlo?

 

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