Saudi Pro League, giochi invernali
Nella Saudi Pro League è atterrato un battaglione di giocatori, ciascuno dei quali non ha fatto una scelta di vita, ma di Iban: pochi i solisti eccellenti, nessuno che in un mondo normale possa giustificare uno sperpero di ingaggi di spropositata misura. Certo, ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole. Il Pif del principe Mohamed Bin Salman, il fondo sovrano d’investimento con potenza di fuoco di 776 miliardi di dollari, proprietario di quattro delle diciotto squadre in lizza, ha messo sul tavolo la sua montagna di milioni e sappiamo bene perché l’ha fatto. L’obiettivo non è solo e soltanto squisitamente sportivo, con vista sui Mondiali 2034 e, prima ancora, sui Giochi Invernali asiatici del 2029, a Trojena, situata nella catena montuosa più alta dell’Arabia Saudita, a circa 50 km dalla costa del Golfo di Aqaba, con altitudini comprese fra 1.500 e i 2.600 metri.
Trojena rientra nell’area di Neom, la città che dovrebbe sorgere nel 2025 e prende il nome dalla fusione di neo, nuovo e la “m” di mustaqbal, futuro in arabo. Il progetto ha un costo stimato di 500 miliardi di dollari, il doppio di quanto la Coppa del Mondo sia costata al Qatar. Il Pif è già sbarcato in Premier con l’acquisizione del Newcastle di Tonali: per qualificarsi alla Champions League, dall’inizio della gestione araba il club ha già speso 360 milioni di euro. Nel 2022, invece, è nato il Liv Golf, circuito alternativo al Pga Tour, già definito la Champions League delle diciotto buche. Ha debuttato con un evento londinese dal montepremi di 25 milioni di dollari. A Dustin Johnson e Phil Mickelson, stelle di prima grandezza, sono stati offerti 100 milioni di dollari per emigrare. Tiger Woods ha detto no. Lo scopo di tutta la strategia saudita è primariamente politico, ovvero, per mezzo dello strumento sportivo rifarsi una verginità in materia di diritti umani, omicidi di giornalisti come Jamal Kashoggi e repressione del dissenso che Amnesty International non si stanca di ricordare. Gli addetti ai lavori chiamano questa pratica sport washing e non c’è bisogno di traduzione per i signori del petrolio, nel Paese che produce il 10% per cento del fabbisogno quotidiano mondiale di greggio.
In ambito strettamente calcistico, il fenomeno Saudi Pro League deve essere studiato con attenzione e rispetto che si accompagnano alla gratitudine dei club europei, le cui casse sono state rimpinguate dai petrodollari. Per capire se il torneo arabo riuscirà a diventare importante come lo sono Premier League, Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1, bisognerà verificare anche il suo ritorno d’interesse, non soltanto nel mondo arabo, of course, ma nel resto del pianeta e seguire passo doppo passo il mercato dei diritti televisivi, implacabile termometro del successo di un evento sportivo. La Saudi Pro League è visibile in 170 Paesi, ma in Italia, ha registrato una falsa partenza.
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