Milan-Juve, Cardinale e Agnelli: 39 giorni contro 99 anni

A San Siro si sfidano la proprietà più giovane e quella più vecchia della Serie A. I rossoneri di Redbird dal 31 agosto, gli Agnelli il 24 luglio festeggeranno un secolo in bianconero
Milan-Juve, Cardinale e Agnelli: 39 giorni contro 99 anni

MILANO - Se la famiglia Agnelli per la Juventus e il calcio italiano rappresentano la tradizione che va avanti nel tempo a livello di proprietà il Milan, negli ultimi quattro anni, è stato il pezzo più pregiato degli investimenti americani in Serie A. Prima la ristrutturazione con Elliott, che ha portato conti in ordine e uno scudetto figlio del lavoro di programmazione e scouting che non ha mai potuto evadere da paletti economico-finanziari ben precisi e invalicabili. La cessione-record da 1.2 miliardi avvenuta a settembre, con il controllo del club passato nelle mani di RedBird Capital, è stata la naturale conseguenza di un percorso che porterà il Milan, secondo una stima, ad arrivare a 500 milioni di ricavi entro le prossime tre stagioni sportive. Il tutto è ovviamente legato a risultati sportivi soddisfacenti come vincere scudetti e andare più avanti possibile in Champions League, ma anche a quelle nuove e importanti partnership che la nuova proprietà capitanata da Gerry Cardinale dovrà portare in dote al Milan per renderlo competitivo sul mercato dei giocatori, laddove non entrino in scena le squadre inglesi o il Paris Saint-Germain

Il modello da seguire

In un sistema calcio che rimane ancora troppo ancorato ai soldi dei diritti tv e che non costruisce stadi di proprietà (più avanti parleremo anche di questo), il metodo-Milan ha rotto gli schemi ormai consolidati di un certo modo di gestire una società di club, dentro e fuori dal campo. Non c’è nessuna presunzione in quel di via Aldo Rossi nel rimarcare quanto ottenuto, solo la convinzione di aver intrapreso l’unica strada possibile per poter riemergere dalle ceneri, sia nel rettangolo verde sia guardando i numeri economici. Il passivo di bilancio al 30 giugno 2022 fa segnare un -66,5, che certifica un taglio di altri 30 milioni rispetto alla rilevazione del 2021. Da gennaio, poi, entrerà in vigore il nuovo contratto con Puma che porterà 30 milioni all’anno e si sta trattando il rinnovo con Emirates per il main sponsor, anche se non è da escludere che possano arrivare nuovi marchi interessati a essere apposti sulle maglie da gioco della prima squadra maschile. Che il Milan guardi al mercato americano è evidente, perché ha capito di poter intercettare lì nuovi partner commerciali come, ad esempio, Off White o l’accordo fatto con la Warner Bros. per il lancio del film “Black Adam” che avrà come protagonista Dwayne “The Rock” Johnson che ieri, su Twitter, ha fatto un saluto ai tifosi milanisti dentro il promo della sua ultima fatica cinematografica. C’è ancora tanta strada da fare, perché per potersi permettere anche stipendi più alti senza fare fatica, il Milan dovrà crescere ulteriormente nelle “revenue”, parola molto in voga nelle ultime settimane nei corridoi della sede e sull’asse Milano-New York.

Questione stadio

Se la Juventus da undici anni può contare sullo Stadium, che certamente ha aiutato il club a incrementare i ricavi, il Milan dal canto suo è ancora alle prese con tutta la burocrazia riguardante il progetto del nuovo San Siro, in comunità d’intenti con l’Inter. La stima fatta dagli ambienti rossoneri è che con un impianto di proprietà, anche se condiviso, ci potrebbero essere introiti fissi tra gli 80 e i 100 milioni annui extra botteghino. Cifre che, con l’attuale stadio, non sono minimamente raggiungibili e che il Milan vuole incamerare il prima possibile. Ecco perché i rossoneri, se alla fine del dibattito pubblico dovessero esserci delle nuove difficoltà, potrebbero accelerare sul dossier di Sesto San Giovanni. Con o senza l’Inter.

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1,2 miliardi

di euro pagati da Redbird per acquistare da Elliott il 99,97% delle quote del Milan. Tra gli investitori raccolti da Gerry Cardinale anche la Yankee Global Enterprise, proprietaria dei New York Yankees di baseball.

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72 trofei

conquistati dalla Juve nei 99 anni di proprietà degli Agnelli. Prima del 1923, anno in cui la famiglia entrò nel club, la squadra bianconera, fondata nel 1897, aveva vinto soltanto uno Scudetto, quello del 1905.

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4 proprietari

del Milan nel ventunesimo secolo: Silvio Berlusconi, che aveva acquistato il club nel 1986; Yonghongh Li, che lo acquistò da Berlusconi stesso nel 2017; il fondo Elliott, entratone in possesso nel 2018, e infine il fondo RedBird, dal 31 agosto.

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Sergio Baldini

TORINO - «Dobbiamo impegnarci a fare bene, ma ricordandoci che una cosa fatta bene può essere sempre fatta meglio». Si chiudeva così, il 24 luglio 1923, il primo discorso di Edoardo Agnelli ai soci della Juventus, di cui era appena diventato presidente, primo membro della famigia a entrare nel club. E cominciava così quell’inseguimento costante all’eccellenza radicatosi nella società bianconera al punto da diventare parte del suo dna. Tanto che la stragrande maggioranza dei giocatori passati per la Juventus ne indica come tratto distintivo proprio l’attitudine ad archiviare subito ogni vittoria per pensare a quella successiva: «Una cosa fatta bene può essere sempre fatta meglio», appunto.

Vecchia di quasi 100 anni, l’esortazione vale anche per le vittorie ottenute su Bologna e Maccabi Haifa dalla squadra di Massimiliano Allegri, oggi chiamata a fare meglio a San Siro contro un Milan che da meno di due mesi ha cambiato proprietà, passando da Elliot a RedBird: entrambe società di gestione degli investimenti, entrambe statunitensi. Una storia contemporanea e "una storia d’altri tempi", canterebbe De Gregori come in “Il bandito e il campione", ma non "di prima del motore". Anzi, in questa storia il motore è centrale, perché è un operaio della Fiat a darle inzio. C’è chi dice che la Storia, quella con la S maiuscola, sia ciclica e in effetti, se oggi ci sono (pochi) calciatori che non hanno nell’ingaggio la principale fonte di guadagno (Cristiano Ronaldo su tutti), ce ne erano anche, e molti, negli anni Venti. E non perché incassassero una fortuna con la pubblicità, ma perché per vivere dovevano lavorare: Giovanni Bruna, per esempio, terzino passato nel 1919 dalla Pro Vercelli alla Juventus, faceva l’operaio alla Fiat. Fu per chiedere i permessi pomeridiani che gli consentissero di allenarsi che il dirigente bianconero Sandro Zambelli qualche tempo dopo incontrò il fondatore e presidente della Fabbrica Italiana Automobili Torino, il senatore Giovanni Agnelli. La cui disponibilità spinse Zambelli a osare e a offrirgli la presidenza della società: rifiutata in prima persona, ma accettata in qualità di capofamiglia e lungimirante imprenditore, capace di comprendere la crescente importanza sociale del calcio, e girata al figlio Edoardo. Che dette subito seguito al suo discorso di insediamento: due stagioni di apprendistato e poi Scudetto, il secondo della storia del club dopo quello del 1905.

Da allora ogni vittoria della Juventus è stata targata Agnelli, anche se non sempre c’è stato un membro della famiglia sul ponte di comando con un ruolo operativo: basti pensare alle epoche lunghe e vincenti di Boniperti, presidente dal 1971 al 1990 e poi dal 1991 al 1994, e della Triade Bettega-Giraudo-Moggi, dal 1994 al 2006. Anche in quei periodi, però, un Agnelli ha sempre mantenuto la guida ultima della società: l’Avvocato, Giovanni, con Boniperti; il Dottore, Umberto, con la Triade. Una costante, così come quella che ha legato la famiglia alle stelle più luminose della storia bianconera. Edoardo, il padre di Gianni e Umberto, volle prima Hirzer, l’idolo dell’Avvocato bambino, ungherese da 50 gol in 43 presenze e stella di quello Scudetto del 1926, costretto dalle leggi fasciste a lasciare l’Italia nel 1927, e poi Orsi e gli altri oriundi argentini, protagonisti del Quinquennio d’oro di inizio Anni Trenta. Umberto a 21 anni portò alla Juventus Charles e Sivori, l’Avvocato decise gli acquisti di Platini e Baggio. Andrea Agnelli, in carica dal 2010, ha portato in bianconero Cristiano Ronaldo, poi Di Maria e riportato Pogba. Nessuno di questi due sarà in campo oggi a San Siro, ma quella frase pronunciata quasi un secolo fa dal nonno dell’attuale presidente sarà nella testa di tutti i bianconeri.

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MILANO - Se la famiglia Agnelli per la Juventus e il calcio italiano rappresentano la tradizione che va avanti nel tempo a livello di proprietà il Milan, negli ultimi quattro anni, è stato il pezzo più pregiato degli investimenti americani in Serie A. Prima la ristrutturazione con Elliott, che ha portato conti in ordine e uno scudetto figlio del lavoro di programmazione e scouting che non ha mai potuto evadere da paletti economico-finanziari ben precisi e invalicabili. La cessione-record da 1.2 miliardi avvenuta a settembre, con il controllo del club passato nelle mani di RedBird Capital, è stata la naturale conseguenza di un percorso che porterà il Milan, secondo una stima, ad arrivare a 500 milioni di ricavi entro le prossime tre stagioni sportive. Il tutto è ovviamente legato a risultati sportivi soddisfacenti come vincere scudetti e andare più avanti possibile in Champions League, ma anche a quelle nuove e importanti partnership che la nuova proprietà capitanata da Gerry Cardinale dovrà portare in dote al Milan per renderlo competitivo sul mercato dei giocatori, laddove non entrino in scena le squadre inglesi o il Paris Saint-Germain

Il modello da seguire

In un sistema calcio che rimane ancora troppo ancorato ai soldi dei diritti tv e che non costruisce stadi di proprietà (più avanti parleremo anche di questo), il metodo-Milan ha rotto gli schemi ormai consolidati di un certo modo di gestire una società di club, dentro e fuori dal campo. Non c’è nessuna presunzione in quel di via Aldo Rossi nel rimarcare quanto ottenuto, solo la convinzione di aver intrapreso l’unica strada possibile per poter riemergere dalle ceneri, sia nel rettangolo verde sia guardando i numeri economici. Il passivo di bilancio al 30 giugno 2022 fa segnare un -66,5, che certifica un taglio di altri 30 milioni rispetto alla rilevazione del 2021. Da gennaio, poi, entrerà in vigore il nuovo contratto con Puma che porterà 30 milioni all’anno e si sta trattando il rinnovo con Emirates per il main sponsor, anche se non è da escludere che possano arrivare nuovi marchi interessati a essere apposti sulle maglie da gioco della prima squadra maschile. Che il Milan guardi al mercato americano è evidente, perché ha capito di poter intercettare lì nuovi partner commerciali come, ad esempio, Off White o l’accordo fatto con la Warner Bros. per il lancio del film “Black Adam” che avrà come protagonista Dwayne “The Rock” Johnson che ieri, su Twitter, ha fatto un saluto ai tifosi milanisti dentro il promo della sua ultima fatica cinematografica. C’è ancora tanta strada da fare, perché per potersi permettere anche stipendi più alti senza fare fatica, il Milan dovrà crescere ulteriormente nelle “revenue”, parola molto in voga nelle ultime settimane nei corridoi della sede e sull’asse Milano-New York.

Questione stadio

Se la Juventus da undici anni può contare sullo Stadium, che certamente ha aiutato il club a incrementare i ricavi, il Milan dal canto suo è ancora alle prese con tutta la burocrazia riguardante il progetto del nuovo San Siro, in comunità d’intenti con l’Inter. La stima fatta dagli ambienti rossoneri è che con un impianto di proprietà, anche se condiviso, ci potrebbero essere introiti fissi tra gli 80 e i 100 milioni annui extra botteghino. Cifre che, con l’attuale stadio, non sono minimamente raggiungibili e che il Milan vuole incamerare il prima possibile. Ecco perché i rossoneri, se alla fine del dibattito pubblico dovessero esserci delle nuove difficoltà, potrebbero accelerare sul dossier di Sesto San Giovanni. Con o senza l’Inter.

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