Chiellini e le sette lezioni di vita

L’avversario che non è un nemico, il saper andare oltre le sconfitte, le forme “altre” del talento, la forza di studiare, la sensibilità, i social misurati e...
Chiellini e le sette lezioni di vita© Juventus FC via Getty Images

Mi mancherai, Giorgione, e te lo scrivo perché forse non avrò mai l’occasione di dirtelo davanti a una birra. E mentre te ne vai voglio ringraziarti di tutto, dove quel tutto non c’entra nulla con le gioie che mi hai dato sul campo, ma con le sette cose importanti della vita che mi hai ricordato in questi anni senza nemmeno rendertene conto. Che poi questo miscuglio continuo tra gioco e vita è ciò che amo di più del calcio, a pensarci bene, e ciò che unisce tutti noi tifosi al di là delle appartenenze. La prima è che l’avversario non è mai un nemico, ma un compagno di strada. Senza scomodare monetina e «mentiroso» agli Europei, perché sei pure un gran furbacchione, penso a ogni volta che dai il cinque all’attaccante dell’altra squadra, dopo una sua bella azione o dopo un tuo salvataggio. In quel gesto c’è scritto molto: che nel mondo siamo tutti sulla stessa barca, anche se sotto bandiere diverse; che abbiamo bisogno dell’altro – nel calcio, come nella vita – perché giocare da soli non è possibile; che rendere merito al prossimo è un gesto di forza, e non di debolezza; che le azioni passano, come le partite, ma i rapporti umani rimangono.

La seconda è che bisogna imparare a vincere e a perdere, senza farsi condizionare – come direbbe Ignazio di Loyola – dalla consolazione del successo o dalla desolazione del fallimento. E su questo tu mi hai sempre divertito parecchio: ti ho visto sventolare banconote all’arbitro come un bambino, in piena trance agonistica, e rubare di bocca a noi tifosi le peggiori espressioni nelle interviste post-partita; ma quando, giorni dopo, noi restavamo lì a rimuginare, tu eri già oltre, perché nella vita anche la sconfitta più dolorosa non è che un incidente di percorso.

La terza è che il talento ha varie forme, anche se noi siamo abituati a riconoscerne solo alcune. Quello di Del Piero si rivela da solo, suscita ammirazione anche tra i tifosi avversari, fa alzare in piedi il Bernabeu, ti rimane negli occhi anche a dieci anni di distanza. Il tuo, Giorgione, è più nascosto, ma forse più umano: è fatto di cocciutaggine, applicazione, determinazione, allenamento, e mi accorgo che sto usando tutte categorie della testa, perché è questa il dono più grande che hai. Decisamente meglio dei tuoi piedi quadrati, possiamo dirlo, ma del resto solo chi non conosce il calcio pensa che a pallone si giochi soltanto con i piedi. La quarta, un’altra categoria della testa, è lo studio. Generazioni di ragazzi cresciuti a mollare la scuola per tentare la fortuna col pallone, e tu hai fatto il contrario: più andavi avanti nel professionismo, più restavi attaccato ai libri, all’università. Con l’umiltà di chi sa che il campo è solo è la punta di un iceberg molto più complesso, di chi non vuole vivere quarant’anni di rendita dopo aver giocato per venti, di chi è disposto a rimettersi in gioco – dopo essere stato al vertice – anche ricominciando dal basso e salendo gradini.

La quinta, per restare in tema di testa, è il turbante. Se avessi avuto un biglietto per Juve-Lazio, me lo sarei messo in testa anch’io per venirti a salutare: pensa che bello, uno stadio intero col turbante per ricordare tutte le botte che hai preso – e che hai dato – in questi anni. Quelli come me, se hanno la testa che sanguina, si mettono a letto con la borsa del ghiaccio; a te basta un turbante, tipo le noccioline di Superpippo, per trasformarti in supereroe. «Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare», dice don Abbondio al cardinale Borromeo. E tu ne hai da vendere, anzi, da regalare, perché sei anche una persona generosa. La sesta cosa che mi hai ricordato in questi anni, infatti, è l’attenzione agli altri. Hai convinto colleghe e colleghi a condividere una piccola quota dell’ingaggio per un fondo internazionale di solidarietà, il Common Goal, che in Italia ancora non conosceva nessuno; ti impegni da tempo nel progetto degli Insuperabili, per promuovere un cambiamento culturale sui temi della disabilità.

E certamente hai fatto molto altro, in silenzio, condividendo con chi ha meno i doni ricevuti dalla vita e mettendo la popolarità al servizio di cause nobili. Come ognuno di noi, nel piccolo o nel grande, è chiamato a fare: che sia più o meno benestante, che sia un personaggio pubblico o un comune cittadino. Proprio il tuo modo di gestire pubblico e privato, Giorgione, è la settima e ultima lezione di vita che mi lasci. Hai custodito la tua famiglia con grande attenzione, rendendola protagonista di ogni tua scelta: anche quella sul prossimo anno, mi par di capire. Hai usato i social network con intelligenza e pacatezza, hai preferito restare una persona senza mai rifugiarti nel personaggio. E proprio per questo sono sicuro che ora, tolta la nostra maglia, cominceranno ad applaudirti anche quelli che finora ti hanno fischiato. Ma ti fischiavano per paura, lo sai bene, perché uno come te è sempre meglio avercelo in squadra che non contro. Buona vita, Giorgione. Ma torna presto.

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