Juventus, Di Maria a scuola da Locatelli. E per Vlahovic niente sconti

Paradossi alla Continassa. Non si parla di tecnica, ma di attaccamento alla maglia e sacrificio

TORINO - Paradossi alla Continassa. Roba tipo Angel Di Maria - il campione del mondo, l’uomo dei gol in finale, l’esterno più forte (o quasi) dell’ultimo lustro calcistico - che deve “studiare”, imitare, copiare, prendere esempio da... Manuel Locatelli. Non è questione di controlli di palla con il Bostik, di funambolici numeri tecnici o di assist serviti con precisione calibrata, ovviamente. Quanto di attaccamento alla maglia, spirito di sacrificio, senso della partita, gusto di anteporre il dovere al piacere. Ergo, ciò che serve alla squadra a ciò che serve al proprio gusto estetico e al proprio ... ego. Mica per niente Allegri ha lasciato il campo berciando e stillando, perdendosi gli attimi finali di Juventus-Lazio, dopo che il Fideo ha sbagliato una giocata scegliendo una verticalizzazione di fino, raffinata (e carambolata contro i difensori laziali). Quella roba lì avrebbe avuto senso qualora mai la Juventus fosse stata in svantaggio all’ultimo secondo, ma invece - ovviamente - in vantaggio di un gol uno, risicato, e con la semifinale di Coppa Italia contro l’Inter lì a portata di mano, beh, decisamente avrebbe avuto più senso tener palla, far salire la squadra, ragionare, guadagnare tempo. “Cos’èèèèèèèèèèèèè!?!?”, è stato l’urlo quasi belluino diventato colonna sonora della sua uscita di scena attraverso il tunnel che porta negli spogliatoi.

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Il precedente contro il Monza

L’argentino era stato protagonista di una situazione simile nella precedente partita di Coppa Italia, giocata contro il Monza, allorché aveva trovato bene di prodursi in una rabona al 90’, piuttosto fine a se stessa. In quell’occasione in panchina c’era il vice-allenatore Marco Landucci (Allegri era squalificato) il quale aveva ammesso: «Non me ne sono accorto, parlavo un attimo con quelli accanto a me, non l’ho vista. Se ci fosse stato Allegri,secondo me sarebbe entrato in campo…».  La “recidività” di Di Maria è quella che infastidisce Allegri, che poi considera anche una aggravante: l’enorme esperienza del giocatore argentino. E’ per questo che certi atteggiamenti, in certi momenti, risultano ingiustificabili. Se sei Fagioli e sbagli la giocata e accendi il contropiede laziale nel primo tempo, beh: Allegri ti consola in campo. Se invece sei Di Maria e rischi di vanificare tutto nel finale, allora invece non ci siamo proprio. Altro che consolare... Non a caso sono poi piovuti i complimenti per Locatelli, che «ha disputato una partita incredibile sotto il profilo umano. Di cuore, di testa. Credo che sia un giocatore con il Dna della Juventus dentro e sta diventando un esempio per tutti, non si tira mai indietro».

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Su Chiesa e Vlahovic

E pensare che pochi mesi fa (era ancora settembre) avevano fatto discutere alcune riflessioni allegriane durante una chiacchierata tra addetti ai lavori: «La Juve era stata pensata in un altro modo. Con Rabiot-Paredes-Pogba a centrocampo più Locatelli a fare il primo che subentra. Di Maria e Chiesa sulle fasce, Vlahovic nel mezzo. La Juve di adesso è virtuale». Beh, da primo subentrante ad esempio il salto è stato bello massiccio. E apprezzabile. Anche perché Allegri non è tipo da trincerarsi troppo dietro la diplomazia: quel che pensa dice, al limite con ironia, ma senza troppi giri di parole. In questo senso un po’ di effetto l’ha fatto sentire il tecnico spiegare seccamente che «Chiesa è rientrato bene e ha fatto buone cose, Vlahovic alcune buone altre meno». Per carità, ha detto nulla più e nulla meno rispetto a ciò che hanno pensato tutti, però è anche vero che, volendo, c’era pure la strada del “son contento di riaverlo a disposizione, sarà importante”. Ma a quanto pare non è cosa. Allegri ha reputato fosse cosa buona e giusta ripartire da là dove aveva interrotto, con Dusan, cioè da bastone e carota, da complimenti a piccole (e pubbliche) stecche.

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TORINO - Paradossi alla Continassa. Roba tipo Angel Di Maria - il campione del mondo, l’uomo dei gol in finale, l’esterno più forte (o quasi) dell’ultimo lustro calcistico - che deve “studiare”, imitare, copiare, prendere esempio da... Manuel Locatelli. Non è questione di controlli di palla con il Bostik, di funambolici numeri tecnici o di assist serviti con precisione calibrata, ovviamente. Quanto di attaccamento alla maglia, spirito di sacrificio, senso della partita, gusto di anteporre il dovere al piacere. Ergo, ciò che serve alla squadra a ciò che serve al proprio gusto estetico e al proprio ... ego. Mica per niente Allegri ha lasciato il campo berciando e stillando, perdendosi gli attimi finali di Juventus-Lazio, dopo che il Fideo ha sbagliato una giocata scegliendo una verticalizzazione di fino, raffinata (e carambolata contro i difensori laziali). Quella roba lì avrebbe avuto senso qualora mai la Juventus fosse stata in svantaggio all’ultimo secondo, ma invece - ovviamente - in vantaggio di un gol uno, risicato, e con la semifinale di Coppa Italia contro l’Inter lì a portata di mano, beh, decisamente avrebbe avuto più senso tener palla, far salire la squadra, ragionare, guadagnare tempo. “Cos’èèèèèèèèèèèèè!?!?”, è stato l’urlo quasi belluino diventato colonna sonora della sua uscita di scena attraverso il tunnel che porta negli spogliatoi.

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