Juventus, stagione frustrante e maledetta. Ma Vlahovic?

La squadra bianconera scopre anche la sfortuna in un’annata disgraziata: il bomber però manca

Se ci si mette pure la sfortuna, la Juventus può solo arrendersi. In una stagione in cui la squadra di Allegri ha sofferto infortuni pesantissimi, un tornado giudiziario, quindici punti di penalizzazione e ha accumulato sconfitte ampiamente meritate, all’Olimpico scopre la dolorosa sensazione di sbattere tre volte contro il palo e di perdere una partita che aveva fatto più della Roma. Il che - intendiamoci! - non significa aver attaccato per novanta minuti, ma aver comunque costruito qualche azione in più, aver mostrato un briciolo di qualità in più e aver dato l’idea di avere più giocatori in grado di sbloccarla. Perché, diciamolo, per quasi tutto il primo tempo e buona parte del secondo non sembrano neppure scacchi, ma proprio dama. Squadre bloccate, sempre tre o quattro uomini di scorta nella propria metà campo e l’iniziativa lasciata al colpo di genio, la giocata del fuoriclasse, la botta di fortuna.

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Vlahovic spaesato

E quella, l’ha trovata Mourinho, con la botta di Mancini da fuori area che ha colto un po’ troppo di sorpresa Szczesny e che è stato uno dei due soli tiri nello specchio dei giallorossi (contro cinque della Juventus, che nella sfida dei tiri ha prevalso 14 a 6). Succede. E Allegri non è certo un allenatore che può lamentarsi di partite vinte così. Anzi, tutto sommato può apprezzare la prestazione complessiva della sua squadra che poteva vincere questa partita e che ne vincerà tante se riuscirà a mettere in campo la stessa concentrazione. Restano alcuni punti interrogativi per i bianconeri. Il più grande riguarda Dusan Vlahovic, ieri presente, ma quasi mai al posto giusto e nel momento giusto, quasi mai sincronizzato con il resto della squadra, come un musicista spaesato che si trova sempre una frazione di secondo avanti o indietro rispetto al metronomo. I cross di ieri sera non sono stati tantissimi e non tutti precisissimi, ma alla fine l’inserimento più giusto di tutti è stato di Rabiot, non il suo e quando la palla è volata nell’area di rigore giallorossa, lui si trovava sempre sul palo sbagliato.

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La classifica (ora) ha poco senso

Una Juventus, questa Juventus, con un centravanti più ficcante, può essere letale, perché Kostic è sempre più sicuro, Di Maria (per quanto a sprazzi) è sempre in grado di inventare qualcosa, Cuadrado sta ritrovando se stesso e Pogba, nei pochi minuti contro il Torino e in quelli di ieri, non può che ispirare ottimismo in Allegri, che ieri si è goduto una prestazione difensiva solida e sicura, senza affanni o patemi, nonostante il gol incassato. In mezzo a tanti rimpianti e parecchia frustrazione, la Juventus ha il vantaggio di non dover ragionare troppo sugli effetti che la sconfitta ha sulla classifica che era e rimane virtuale. Con i 15 punti in più sarebbe al secondo posto a pari merito con l’Inter, quindi in comoda zona Champions; senza i 15 punti rimane al settimo posto a pari merito con il Bologna, a ridosso della zona Europa League (alla quale potrebbe accendere anche dalla Coppa Italia). Senza sapere quale sarà il suo destino in sede di giustizia sportiva, in una situazione che nessuno ha mai vissuto (e sulla quale prima o poi bisognerebbe fare un ragionamento), la Juventus può permettersi il lusso di non guardare la classifica, perché tanto ora ha poco senso. 

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Se ci si mette pure la sfortuna, la Juventus può solo arrendersi. In una stagione in cui la squadra di Allegri ha sofferto infortuni pesantissimi, un tornado giudiziario, quindici punti di penalizzazione e ha accumulato sconfitte ampiamente meritate, all’Olimpico scopre la dolorosa sensazione di sbattere tre volte contro il palo e di perdere una partita che aveva fatto più della Roma. Il che - intendiamoci! - non significa aver attaccato per novanta minuti, ma aver comunque costruito qualche azione in più, aver mostrato un briciolo di qualità in più e aver dato l’idea di avere più giocatori in grado di sbloccarla. Perché, diciamolo, per quasi tutto il primo tempo e buona parte del secondo non sembrano neppure scacchi, ma proprio dama. Squadre bloccate, sempre tre o quattro uomini di scorta nella propria metà campo e l’iniziativa lasciata al colpo di genio, la giocata del fuoriclasse, la botta di fortuna.

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