La giustizia sportiva ha messo nel mirino Andrea Agnelli. Ma, adesso, è Andrea Agnelli a mettere nel mirino la giustizia sportiva. Così, infatti, possono essere interpretati gli accadimenti di ieri (e i riflessi di domani) davanti al Tar del Lazio, cui l’ex presidente della Juventus aveva fatto ricorso in seguito ai 24 mesi di inibizione incassati dal Collegio di Garanzia dello Sport per la vicenda plusvalenze.
I fatti, nello specifico, raccontano di come l’ex consigliere di Exor abbia rinunciato alla richiesta di sospensiva, precedentemente presentata, a fronte della garanzia di ottenere una rapida discussione nel merito del caso.
Agnelli e Giraudo, due vicende collegate
Per rapida, scendendo nel dettaglio, si intende verosimilmente subito dopo l’estate, indicativamente a cavallo tra settembre e ottobre. Proprio nel periodo in cui una sottocommissione specializzata del Tar valuterà il ricorso di Antonio Giraudo avverso il suo “ergastolo sportivo”, retaggio che si porta appresso dei tempi di Calciopoli. Due vicende legali che risultano più intrecciate tra loro di quanto si creda. L’ex amministratore delegato del club bianconero, infatti, con il ricorso presentato intende indagare l’effettiva facoltà della giustizia sportiva, nell’alveo della propria autonomia e dunque senza appelli previsti presso altri tribunali, di privare un individuo della possibilità di esercitare la propria professione, come ad esempio quella del dirigente sportivo. In questo quadro, infatti, non è possibile escludere un’eventuale violazione del principio generale della “tutela giurisdizionale effettiva” garantito dall’Unione Europea. Sotto attacco, insomma, c’è la legge 280 del 2003. E con lei, di fatto, l’intero impianto della giustizia sportiva italiana, che sulla propria autonomia poggia le fondamenta.