Tre domande retoriche per andare all’attacco della giustizia sportiva e della legge che ne tutela la specificità in Italia, ma che non è compatibile con l’ordinamento europeo. Domani, ore 12, il ricorso di Antonio Giraudo al Tar può essere molto significativo, soprattutto alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso dei pattinatori sul ghiaccio. Uscita nello stesso 21 dicembre, in cui la Corte aveva sentenziato sull’Uefa, il parere sul ricorso della Federazione Internazionale del pattinaggio (un caso di atleti che avevano partecipato a manifestazioni non riconosciute) contiene alcuni fondamentali passaggi che smontano la possibilità di considerare la giustizia sportiva un mondo a parte, scollegato dal resto della Giustizia e, soprattutto, inappellabile.
Nel mirino del ricorso di Giraudo (ma domani ci saranno anche Andrea Agnelli e Maurizio Arrivabene tra i ricorrenti contro la giustizia sportiva, con sfumature diverse), c’è la Legge del 280 del 17 ottobre 2003 che disciplina l’ordinamento sportivo italiano, ovvero la famosa legge che determina e autorizza la specificità dello sport e, quindi, la possibilità di gestire “in proprio” la giustizia in tutti i gradi di giudizio.