Giraudo, il Tar, la sentenza rivoluzione: perché la Giustizia Sportiva trema

Il ricorso dell’ex dirigente sulle sentenze del 2006 e 2011 e sull'ordinamento giuridico dello sport italiano «non compatibile con le leggi europee»

Tre domande retoriche per andare all’attacco della giustizia sportiva e della legge che ne tutela la specificità in Italia, ma che non è compatibile con l’ordinamento europeo. Domani, ore 12, il ricorso di Antonio Giraudo al Tar può essere molto significativo, soprattutto alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso dei pattinatori sul ghiaccio. Uscita nello stesso 21 dicembre, in cui la Corte aveva sentenziato sull’Uefa, il parere sul ricorso della Federazione Internazionale del pattinaggio (un caso di atleti che avevano partecipato a manifestazioni non riconosciute) contiene alcuni fondamentali passaggi che smontano la possibilità di considerare la giustizia sportiva un mondo a parte, scollegato dal resto della Giustizia e, soprattutto, inappellabile.

Nel mirino del ricorso di Giraudo (ma domani ci saranno anche Andrea Agnelli e Maurizio Arrivabene tra i ricorrenti contro la giustizia sportiva, con sfumature diverse), c’è la Legge del 280 del 17 ottobre 2003 che disciplina l’ordinamento sportivo italiano, ovvero la famosa legge che determina e autorizza la specificità dello sport e, quindi, la possibilità di gestire “in proprio” la giustizia in tutti i gradi di giudizio.

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Giraudo al Tar: cosa può succedere

Il Tar, che si riunirà in un’apposita “sezione specializzata ad hoc” per analizzare la questione dovrà rispondere a queste domande. Prima: gli organi disciplinari della Figc e del Coni che hanno condannato Giraudo (e non solo lui) nel 2006 e nel 2011-12, costituiscono “organi giurisdizionali” ai sensi dell’ordinamento comunitario? La risposta è ovviamente no, perché si tratta di tribunali disciplinari interni, le cui decisioni, però, non possono essere modificate da un giudice ordinario, perché nessun ricorso all’esterno dell’alveo sportivo è ammissibile, tranne quello per un eventuale risarcimento. Insomma, è lecito che un tribunale disciplinare interno possa prendere decisioni che incidono in modo diretto e pesante sui diritti universali delle persone (come il lavoro) senza essere un “organo giurisdizionale” per l’Unione Europea?

Il tema è delicato perché una legge italiana non può essere in netto contrasto con l’ordinamento europeo. E la Corte di Giustizia si è espressa in modo piuttosto perentorio sul fatto che la giustizia sportiva debba essere appellabile al di fuori del suo alveo dal punto 200 al punto 204. Certo, la legge italiana evita che qualsiasi decisioni della giustizia sportiva possa sfociare in quella ordinaria, creando non solo ulteriori problemi di intasamento, ma anche con la possibilità di avere - per esempio - campionati bloccati o iter lunghissimi per decidere su temi urgenti. Ma restano dei punti critici nella giustizia sportiva che vengono evidenziati nelle altre due domande.

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Le opzioni del Tar

Seconda: La radiazione e quindi l’esclusione a vita dal settore del calcio professionistico non è lesiva del diritto a lavorare di un individuo? Può esistere un “fine pena mai” assegnato da un tribunale che, giusto ribadirlo, non è in nessun modo un organo giurisdizionale ai sensi dell’ordinamento dell’Unione?

Terza: la radiazione, proprio in virtù delle caratteristiche del punto due, non è in contrasto con il principio generale (peraltro riconosciuto dalla stessa Costituzione Italiana) di proporzionalità delle sanzioni? Tre temi spinosi per il Tar, che si trova davanti a un altro caso di “monopolio” quello in materia disciplinare in mano a Coni e Figc. E come la pensa il massimo tribunale europeo sui monopoli in ambito sportivo lo abbiamo scoperto il 21 dicembre in modo piuttosto chiaro.

Cosa può succedere, dunque, domani? Che il Tar tiri dritto in difesa della Legge 280, trovando il modo di schivare le osservazioni del ricorso. Che il Tar rinvii tutto alla Corte di Giustizia Europea, dribblando una sentenza piena di rischi. Che il Tar dia ragione a Giraudo, che con una sentenza favorevole non potrebbe rovesciare le sentenze di Calciopoli, ma cambiarne alcuni aspetti sì e, fatto più importante, rivoluzionerebbe la giustizia sportiva.

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Ricorso, quanto tempo ci vuole

Insomma, la giornata è potenzialmente storica, ma bisogna anche ricordare che il tribunale chiamato a decidere è lo stesso che fornisce quasi il cinquanta per cento dei giudici e dei procuratori alla giustizia sportiva che, a tutti i livelli, attinge a piene mani dal personale di quella amministrativa. Un dettaglio di cui bisogna tenere conto. Così come il fatto che quella che la Corte di Giustizia Europea considera una stortura, ovvero l’impossibilità di appellarsi nel merito presso un giudice ordinario , è una fattispecie diffusa in altri Paesi europei. Il che spingerebbe a una riflessione più ampia, perché se il calcio e, in generale, lo sport è un settore industriale che produce decine di miliardi di euro non può essere regolato da una giustizia casalinga e chiusa.

La sentenza non sarà immediata, potrebbero metterci un mese, così come per Agnelli e Arrivabene, che ricorrono contro le recenti sentenze su plusvalenze e manovra stipendi, ricorsi con delle analogie con quello di Giraudo, ma con una struttura diversa. E, quello di Arrivabene (vittima di un errore piuttosto chiaro nella sentenza sportiva) potrebbe portare anche a un risarcimento economico per l’ex amministratore delegato bianconero.

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Tre domande retoriche per andare all’attacco della giustizia sportiva e della legge che ne tutela la specificità in Italia, ma che non è compatibile con l’ordinamento europeo. Domani, ore 12, il ricorso di Antonio Giraudo al Tar può essere molto significativo, soprattutto alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso dei pattinatori sul ghiaccio. Uscita nello stesso 21 dicembre, in cui la Corte aveva sentenziato sull’Uefa, il parere sul ricorso della Federazione Internazionale del pattinaggio (un caso di atleti che avevano partecipato a manifestazioni non riconosciute) contiene alcuni fondamentali passaggi che smontano la possibilità di considerare la giustizia sportiva un mondo a parte, scollegato dal resto della Giustizia e, soprattutto, inappellabile.

Nel mirino del ricorso di Giraudo (ma domani ci saranno anche Andrea Agnelli e Maurizio Arrivabene tra i ricorrenti contro la giustizia sportiva, con sfumature diverse), c’è la Legge del 280 del 17 ottobre 2003 che disciplina l’ordinamento sportivo italiano, ovvero la famosa legge che determina e autorizza la specificità dello sport e, quindi, la possibilità di gestire “in proprio” la giustizia in tutti i gradi di giudizio.

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