Il gol di Vlahovic all'alba del match, talmente fulmineo che ha pure avuto il tutt'altro che trascurabile merito di spegnere ogni commento circa l'oscena storpiatura dell'Inno da parte di Albano, è stato calcisticamente il manifesto tattico della gara preparata da Allegri (e dal suo staff: lui da solo mica sarebbe capace, ovviamente) a fronte di una squadra, l'Atalanta, che ha il suo credo inossidabile nella marcatura a uomo a tutto campo. Ma se capita, come è capitato a Cambiaso, che un esterno abbia la lucidità e il tempismo di uscire dalla linea e dallo sparito di marcatura per indovinare la verticalizzazione, allora ecco che il grimaldello fa saltare la cassaforte avversaria. Anche perché, stavolta, Vlahovic è stato bravissimo a difendere palla sul ritorno di Hien e a battere Carnesecchi in uscita.
La mossa tattica per battere la Dea
Certo, un gol in una finale dopo soli 4’ sposta le prospettive (al contrario si sarebbe detto che la Juve aveva sbagliato approccio, così chissà...), ma quel che accade dopo, durante tutto lo spazio del primo tempo, ha raccontato di una squadra bianconera compatta nell'insieme, ma soprattutto, viste le caratteristiche dell'avversario, individualmente mentalizzata in maniera perfetta ad accettare il duello singolo per cercare di vincerne il maggior numero possibile. Perché, al di là dei percorsi e della retorica, l'Atalanta di Gasperini che sta bene, come sta bene ora, la puoi battere solo in due modi: o con il palleggio da “giro palla”, e non è roba che apparitene a questa Juve, o, appunto, con i duelli. Esemplari, nel primo tempo, quelli dei difensori bianconeri che non hanno concesso la minima opportunità agli attaccanti avversari, tanto è vero che nell'intervallo Gasperini ha “tenuto giù” un ectoplasmatico De Ketelaere (ah, la personalità…).