Pagina 0 | Le parole garantiste di Chiné e lo strano destino della Juve

TORINO - Mercoledì scorso, 22 maggio, Giuseppe Chinè, in audizione al Senato, ha spiegato come funziona il lavoro della Procura Federale della Figc della quale è il capo. Una spiegazione legata a una domanda di Claudio Lotito che aveva chiesto come mai la Procura Figc non aveva ancora aperto un fascicolo sul presidente Figc Gabriele Gravina, nonostante la Procura della Repubblica di Roma ne ha aperto uno sulla vicenda della vendita dei libri antichi.

Cosa ha detto Chiné

Ha detto Chiné: "Noi non abbiamo i poteri di indagine di una Procura della Repubblica. Noi abbiamo possibilità molto limitate, possiamo solo audire, interrogare un tesserato che ha l'obbligo di presentarsi e rispondere secondo verità. Possiamo acquisire documenti presso società sportive, possiamo fare dei confronti, non abbiamo intercettazioni, perquisizione, no, non ce l'abbiamo. Spessissimo noi dobbiamo appoggiarci presso le Procure della Repubblica e spesso questo dialogo si attiva quando si è in presenza di un rinvio a giudizio, cioè quando le indagini penali si sono concluse e c'è un rinvio a giudizio. Ovviamente non lo faccio di fronte alla mera attivazione di un'indagine".

Ma con la Juve...

Tutto giusto, ma vale la pena ricordare a Chiné che in occasione della riapertura del processo sulle plusvalenze e sull'indagine sulla cosiddetta manovra stipendi che riguardava la Juventus, la Procura Figc non ha atteso il rinvio a giudizio (che peraltro non è ancora arrivato ad oggi), ma ha richiesto e ottenuto le carte dell'indagine Prisma, comprensive delle famigerate intercettazioni, utilizzate come prova regina per la condanna della Juventus alla penalizzazione dello scorso anno (costata la Champions e un danno economico di circa 100 milioni). Intercettazioni che non erano state vagliate in aula (e quindi, sotto il profilo squisitamente penale, NON erano e tuttora non sono prove) e, soprattutto, come si è appreso dopo la decisione della Cassazione, erano intercettazioni raccolte nel quadro di un'inchiesta sulla quale la Procura di Torino non aveva competenza territoriale (e infatti ora l'indagine è passata a Roma).

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La disparità di trattamento

Diciamo, insomma, che si può apprezzare lo zelo e il tempismo con cui la Procura Federale ha agito nei confronti della Juventus, per quanto in leggero contrasto con il modus operandi garantista che Chiné ha illustrato mercoledì in Senato. Infatti, considerato che la giustizia sportiva ha emesso una sanzione andata ad affliggere un campionato comunque successivo alle violazioni commesse, viene da chiedersi perché la Procura non ha effettivamente "atteso il rinvio a giudizio" per consentire un vaglio più serio del materiale raccolto dai pm torinesi? Oltretutto, parliamo di questioni contabili piuttosto complesse che, in sede penale, richiederanno le perizie di esperti del settore. Esperti che non sono stati consultati affatto in sede di processo sportivo, dove tutto è stato assorbito dal genericissimo Articolo 4.

Inoltre, nella stessa sede, Chiné ha spiegato, parlando specificatamente del processo alla Juventus, come la Procura di Torino ha "fatto cose che altre procure non sono riuscite a fare" e questo, sembra di capire, assolve la coscienza della giustizia sportiva, prova degli strumenti per agire in modo autonomo. Come si può, però, spiegare a un normale tifoso questa clamorosa disparità di trattamento per cui una società viene punita e un'altra no, dando come unica motivazione l'attività diversamente solerte delle varie procure della Repubblica? Perché per Roma e Napoli, per esempio, non è stata chiesta la revocazione su caso plusvalenze? Perché una violazione identica può produrre due iter così diversi? È giustizia questa? O è, invece, il problema che porta a spaccature sempre più profonde nel calcio italiano? Perché le troppe velocità della giustizia possono anche essere giustificate con un dicorso in legalese davanti al Senato, ma iniziano a essere un po' troppo lampanti e ingiustificate agli occhi degli appassionati di calcio.

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