“Conte ti ammazza. Lo Scudetto Juve e il coltello tra i denti, è pazzesco”

L’ex punta bianconera Llorente racconta gli anni a Torino con il tecnico del Napoli: “È un vincente, nessuno mi ha mai capito come lui”

Luglio 2013: la Juventus, ancora inebriata dal secondo scudetto dell’era Conte, accoglie a Vinovo uno dei primi rinforzi estivi. Si chiama Fernando Llorente, ha 29 anni e di professione fa l’attaccante. A Bilbao, un gol dietro l’altro, si è guadagnato il soprannome di “El Rey Leon”, eppure il suo acquisto passa quasi inosservato agli occhi dei tifosi bianconeri: i riflettori sono tutti per la stella in arrivo dalla Premier, Carlitos Tevez. Fernando, del resto, sa bene di non essere ancora pronto per mostrare a tutti il suo valore. A Bilbao ha passato gli ultimi sei mesi in panchina, complice l’accordo siglato a gennaio con la Juventus. La concorrenza davanti è tanta: è la Juve dei vari Vucinic, Quagliarella, Osvaldo... E allora Fernando si allena, giorno dopo giorno: il suo momento arriverà. Basta solo farsi trovare pronti. Dopo tre gare in panchina, Conte lo lancia fra i titolari nella gara di campionato contro il Verona: sarà lui a firmare il gol del 2-1 allo scadere del primo tempo. Il resto, è storia...Ieri a Roma lo spagnolo ha preso parte alla tappa italiana del EA7 World Legends Padel Tour. Nella cornice del Due Ponti Sporting Club, a sfidarsi per le Finals di Miami, diverse leggende del calcio internazionale, tra cui Francesco Totti, Christian Panucci, Vincent Candela, Diego Perotti e Alessio Cerci. 
  
Fernando Llorente, da spagnolo non parte avvantaggiato rispetto ai suoi colleghi calciatori? Dalle vostre parti si gioca a Padel da decenni… 
«Direi di sì (ride, ndr). In Spagna il padel è esploso nei primi anni 90. Io ho iniziato a giocare a 14 anni, principalmente in estate, non potendomici dedicare durante il resto dell’anno. Di solito mi piazzo a sinistra, tranne ovviamente quando mi ritrovo a giocare con un compagno più forte di me…». 
 
E stavolta con chi è sceso in campo? 
«Con Diego Perotti: è molto forte. Ci ho giocato contro nell’ultima finale di Miami: lui era con il Papu Gomez, io con Candela. Alla fine abbiamo vinto noi, ma è stata dura». 
 
Come si spiega il fatto che la maggior parte degli ex calciatori riescano a essere così efficaci a padel? 
«È tutta questione di coordinazione: il calcio ti aiuta tantissimo in questo senso. Poi è anche vero che i calciatori più forti, i campioni veri, sono abili in tutti gli sport. Imparano più in fretta degli altri. Specie se stimolati a livello competitivo: da ex sportivi vogliamo sempre vincere. Fa parte della nostra natura».

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Conte e gli aneddoti Juve

Stasera il verdetto scudetto tra Napoli e Inter. Si sbilanci: chi alza la coppa? 
«Spero con tutto il cuore che lo vinca il Napoli. Anche se ho giocato lì solo per un anno e mezzo e non è andata proprio come volevo, sono rimasto legato alla piazza, ai miei amici napoletani… E poi lo spero per Antonio Conte. Uno degli allenatori più importanti della mia carriera. Quello che sta facendo a Napoli è un vero miracolo. Un’impresa pazzesca, specie se consideriamo che a gennaio gli hanno venduto Kvaratskhelia. Eppure sono lì a lottare con l’Inter che è una squadra fortissima, come abbiamo avuto modo id vedere in Champions. Devo essere sincero: non mi aspettavo un cammino simile del Napoli dopo il decimo posto dell’anno scorso. Ma del resto, Antonio è un vincente, riesce sempre a entrarti in testa in poco tempo. Ti contagia con il suo modo di essere…». 
 
Cosa l’ha colpita in particolare di Conte nei suoi anni alla Juventus? 
«Prima di tutto la sua umanità: è una persona straordinaria. E lo si evince da come tratta i suoi giocatori. Poi adoravo i suoi metodi: lavora tantissimo sulla tattica per fare in modo che ogni singolo giocatore conosca a memoria i movimenti del compagno. E per ultima, la cattiveria che riesce a trasmetterti. Ricordo quando vincemmo lo scudetto a quattro giornate dalla fine: volevamo solo festeggiare eppure lui ci richiamò subito all’attenti dicendoci che dovevamo giocare le successive partite con il coltello tra i denti. Vincerle tutte, insomma. È fatto così, ed è la sua forza». 
 
È il tecnico che l’ha capita di più in assoluto? 
«Direi di sì, mi ha dato fiducia fin da subito. Lui ha sempre avuto bisogno di un attaccante dalle mie caratteristiche: alto e forte fisicamente, che potesse giocare spalle alla porta e aprire gli spazi sulle corsie. Quando sono arrivato alla Juve ho fatto tantissima fatica ad adattarmi ai carichi fisici dei suoi allenamenti: ti ammazza».

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Il ritorno alla Juventus

Negli ultimi giorni voci autorevoli raccontano di un possibile ritorno di Conte alla Juventus. Lei che ne pensa? Per i bianconeri sarebbe la strada più veloce per tornare competitivi in ottica scudetto? 
«Per me Antonio è l’uomo giusto per qualunque squadra. Lui ha la Juve nel Dna. Non so se tornerà ad allenarla già a partire dalla prossima stagione. Di certo ora starà pensando solo a vincere con il Napoli». 
 
Prima di sedersi a un tavolo per programmare il prossimo futuro, i bianconeri hanno da centrare la qualificazione in Champions. Come vede la gara di domenica con il Venezia? 
«Non è mai facile affrontare a fine stagione squadre ancora in corsa per la salvezza. Ma io credo che alla fine la Juve centrerà il quarto posto. Quest’anno ho visto perlopiù le partite che i bianconeri hanno giocato in Champions. A mio parere, a frenarli è stata soprattutto l’emergenza infortuni. Thiago si è trovato a competere su tre fronti con una rosa troppo corta in determinate zone del campo. Nonostante questo, nell’ultimo periodo la squadra stava crescendo, poi è arrivata l’eliminazione con il Psv: un colpo durissimo per il gruppo a livello mentale. Non sono più riusciti a ripartire».

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Cosa non è andato alla Juve

E che mi dice degli attaccanti? Chi le piace di più tra Vlahovic e Kolo Muani? Sembra che per domenica Tudor sia intenzionato a rilanciare il serbo al centro dell’attacco... 
«Non posso scegliere, sono entrambi pazzeschi. Kolo ha ampi margini di miglioramento, ma non so se ha la mentalità giusta per crescere alla Juventus. Dusan mi è sempre piaciuto: in area è fortissimo. Non ho idea di cosa sia successo tra lui e Motta, ma quest’anno ha fatto più fatica nel resto delle zone del campo, quando magari sbagliava dei controlli che un giocatore della sua qualità dovrebbe saper gestire senza problemi. Penso sia solo un tema mentale: è un ragazzo che ha bisogno costante di sentire la fiducia dell’allenatore e dei compagni. Giocare per la Juve non è semplice: la concorrenza è altissima e il pubblico se sbagli si fa sentire…». 
 
Lei come gestiva la pressione a Torino? 
«Nei momenti più complicati la chiave stava nel giocare semplice. Poi piano piano riacquisivo confidenza. Chiaro, da attaccante l’unica cosa che può accelerare questo processo sono i gol, ma per rendere al meglio è fondamentale percepire la fiducia di chi ti sta attorno. Alla Juve ho avuto la fortuna di giocare al fianco di grandi leader e campioni come Pirlo, Barzagli, Chiellini, Bonucci, Tevez, Buffon… Gigio era una roba pazzesca: appena vedeva che la squadra abbassava un po’ il livello ci rimetteva subito in riga con il suo carattere. Penso che quest’anno alla Juve sia mancato anche questo: quei 3/4 leader di esperienza che potessero aiutare i giovani negli attimi più delicati e complessi...». 
 
Se giocasse ancora, in quale realtà di Serie A si vedrebbe meglio oggi?
«Non ho dubbi: seguirei Antonio Conte, in qualsiasi squadra decidesse di allenare». 

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Luglio 2013: la Juventus, ancora inebriata dal secondo scudetto dell’era Conte, accoglie a Vinovo uno dei primi rinforzi estivi. Si chiama Fernando Llorente, ha 29 anni e di professione fa l’attaccante. A Bilbao, un gol dietro l’altro, si è guadagnato il soprannome di “El Rey Leon”, eppure il suo acquisto passa quasi inosservato agli occhi dei tifosi bianconeri: i riflettori sono tutti per la stella in arrivo dalla Premier, Carlitos Tevez. Fernando, del resto, sa bene di non essere ancora pronto per mostrare a tutti il suo valore. A Bilbao ha passato gli ultimi sei mesi in panchina, complice l’accordo siglato a gennaio con la Juventus. La concorrenza davanti è tanta: è la Juve dei vari Vucinic, Quagliarella, Osvaldo... E allora Fernando si allena, giorno dopo giorno: il suo momento arriverà. Basta solo farsi trovare pronti. Dopo tre gare in panchina, Conte lo lancia fra i titolari nella gara di campionato contro il Verona: sarà lui a firmare il gol del 2-1 allo scadere del primo tempo. Il resto, è storia...Ieri a Roma lo spagnolo ha preso parte alla tappa italiana del EA7 World Legends Padel Tour. Nella cornice del Due Ponti Sporting Club, a sfidarsi per le Finals di Miami, diverse leggende del calcio internazionale, tra cui Francesco Totti, Christian Panucci, Vincent Candela, Diego Perotti e Alessio Cerci. 
  
Fernando Llorente, da spagnolo non parte avvantaggiato rispetto ai suoi colleghi calciatori? Dalle vostre parti si gioca a Padel da decenni… 
«Direi di sì (ride, ndr). In Spagna il padel è esploso nei primi anni 90. Io ho iniziato a giocare a 14 anni, principalmente in estate, non potendomici dedicare durante il resto dell’anno. Di solito mi piazzo a sinistra, tranne ovviamente quando mi ritrovo a giocare con un compagno più forte di me…». 
 
E stavolta con chi è sceso in campo? 
«Con Diego Perotti: è molto forte. Ci ho giocato contro nell’ultima finale di Miami: lui era con il Papu Gomez, io con Candela. Alla fine abbiamo vinto noi, ma è stata dura». 
 
Come si spiega il fatto che la maggior parte degli ex calciatori riescano a essere così efficaci a padel? 
«È tutta questione di coordinazione: il calcio ti aiuta tantissimo in questo senso. Poi è anche vero che i calciatori più forti, i campioni veri, sono abili in tutti gli sport. Imparano più in fretta degli altri. Specie se stimolati a livello competitivo: da ex sportivi vogliamo sempre vincere. Fa parte della nostra natura».

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