MONZA - I supereroi come una passione da tatuarsi addosso. Il braccio sinistro di Michele Di Gregorio avrebbe fatto la felicità di Stan Lee, ritratto insieme ad alcuni dei personaggi che hanno reso grande la storia della Marvel. Il preferito? "Iron Man". E il portiere del Monza è come l’uomo di ferro con il volto di Robert Downey jr, una persona resa solida da esperienze professionali e umane. Con una direzione precisa fin da bambino: "A me piaceva stare in porta, mi tuffavo sulla palla senza paura. A neanche 7 anni da Corsico sono finito all’Inter e ci sono rimasto fino ai 20".
Il top, a livello giovanile, lo scudetto Primavera nel 2017.
"Arrivavo da un paio di stagioni di infortuni, l’ho vinto da capitano e da fuori quota. Non eravamo i più forti, però siamo riusciti a creare un gruppo dove si stava bene tra noi, c’era serenità nel lavorare. Una esperienza che porto con me oggi: la forza del gruppo".
Allenatore era Stefano Vecchi.
"Che mi preferiva Radu. Se non giochi sei un po’ offuscato dalla rabbia, certe scelte non le capisci. Quando sono cresciuto calcisticamente ho capito che fare l’allenatore della Primavera all’Inter chiede responsabilità. Mi ha detto una frase che mi è servita: “Radu ha più talento, però tu sei un gran lavoratore. È la tua strada, c’è chi arriva prima e chi dopo”".
Una strada da titolare in Serie C: Renate e Novara, nominato miglior portiere del girone A.
"Quando esci dalla Primavera credi di essere grande, ma sei un ragazzo. Avevo vinto lo scudetto e pensavo: “Ok, magari posso andare già in B”. Per fortuna sono stato consigliato bene dall’Inter e dal mio procuratore Carlo Alberto Belloni: la C è difficile, è un campionato sottovalutato, sei un portiere, hai bisogno di giocare. Non serviva convincermi, ascolto chi vuole il mio bene. È stata la decisione migliore, a confronto con gente che aveva famiglia e dieci anni di calcio giocato. Cresci".
Quindi la Serie B con il Monza.
"Ero a Pordenone, nell’anno del Covid. Se ti chiamano Berlusconi e Galliani... Erano appena saliti in B, per prima cosa mi hanno detto: “Dobbiamo andare in A”. Amo le sfide, specie se te le pone chi ci crede veramente. Il messaggio era chiaro a chiunque qui dentro. Ci siamo riusciti e oggi posso dire che sapevo che mi sarei fermato per un po’ di anni. Monza è casa mia, il centro sportivo è casa mia. Potrei venire qui due ore prima dell’allenamento per stare con tutti, senza parlare di calcio".