Forse hanno ragione quelli là. Jannik Sinner non è italiano. Ieri, per esempio, è sembrato più marziano, atterrato a Roma, come in un racconto di Flaiano, con quel tono educato e la dirompente forza della sua trasparenza. La pacata saggezza seminata in parecchie risposte ha poi segnato un solco ancora più profondo fra il ragazzo e certe abitudini italiote. Come quella di provare istintiva antipatia e divorante invidia per quelli che hanno successo.
"Gli italiani ti perdonano tutto, tranne il successo"
Lo aveva scoperto, nel secolo scorso, Enzo Ferrari che aveva sintetizzato tutto nel padre di tutti gli aforismi sul nostro Paese: "Gli italiani ti perdonano tutto, tranne il successo". Guai a riscuoterne troppo, tipo vincendo la Davis o gli Australian Open. Nel momento esatto in cui Sinner si sdraiava dopo il match point, assaporando con la schiena il dolce cemento di Melbourne, c’era già chi temperava il ditino da puntare contro di lui, con l’irrefrenabile tentazione di andare controcorrente per sentirsi un poco più intelligenti della massa. Tutto previsto, ma lascia lo stesso un velo di tristezza assistere alle severe prediche fiscali per la residenza a Montecarlo e, addirittura, ascoltare i dubbi sulla sua italianità per via del nome o dell’abitudine a esprimersi in inglese (che, sì, risulta eccentrico per un popolo così refrattario all’apprendimento delle lingue straniere).
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