Ducati, Rossa nazionale come la Ferrari di Enzo. Ma su Martin sbagli

La feroce concorrenza interna, piloti sotto pressione per l'obiettivo finale: Borgo Panigale spietata. Ma non si può esaltare lo spagnolo in un giorno in cui è andato oltre ogni limite, guidando alla Marc Marquez

Alla fine, in extremis, come un sorpasso e controsorpasso all’ultima curva dell’ultimo giro, Claudio Domenicali di rosso imparruccato annuncia che il prossimo anno l’assetto del team ufficiale e di quello semi-ufficiale Pramac non cambierà, ovvero che non ci sarà lo scambio tra Jorge Martin ed Enea Bastianini. Pensato, ventilato, fatto trapelare per altro proprio nel momento di maggiore difficoltà di Pecco Bagnaia (per non parlare di quello di Bastianini) nella sua sfida con il torello spagnolo. Sinceramente non una bella cosa, ma dal punto di vista della Ducati vincente. E chi vince ha sempre ragione. In quello la Ducati è coerente a sé stessa e continua a professare una feroce concorrenza interna con l’obiettivo di trovare sempre un cavallo vincente, anche a costo di bruciarlo, spomparlo, ucciderlo finanche. È successo in passato con Jorge Lorenzo e Andrea Dovizioso, ora che in pista ci sono otto Desmosedici e che sono nettamente le moto più veloci (700 punti nel Mondiale costruttori, la seconda - Ktm - doppiata...) per la Casa di Borgo Panigale diventa più facile ma per i piloti no. Volutamente. Domenicali infatti stoppa subito la proposta di un rinnovo pluriennale a Bagnaia per aprire un ciclo (cosa che Pecco ha già fatto, per altro), proprio per tenere tutti sempre sulla graticola. Sotto pressione. Perché così l’asticella sia alza e, il vero obiettivo, perché alla fine vinca la Ducati. Non importa con chi.

Ducati come la Ferrari

In questo la Ducati è davvero la Rossa Nazionale come lo era Ferrari del suo fondatore Enzo. Non quella di Montezemolo, che ha vinto più di tutti con un numero 1 chiaro. Ma il punto è un altro. Aprire il weekend dell’ultima sfida tra Bagnaia e Martin proponendo un titolo mondiale ex-aequo stile l’oro condiviso tra Tamberi e Barshim nel salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo 2020 sarà stato pure sentimentalmente un’uscita ad effetto, ma ha confermato una filosofia che ai piloti non piace. Perché sono animali da battaglia: provate a dire una cosa simile a Valentino Rossi... E continuare ancora ieri, da parte di tutti gli uomini Ducati, ad esaltare Martin come fosse un vincitore anche lui non ci è parso corretto. E rispettoso. Sì, rispettoso per un campione fenomenale che non ha vinto per caso. Bagnaia ha vinto perché è il più forte. Di testa, di caparbietà, di gestione di sè stesso, degli uomini, della moto, delle gomme, della stagione che è lunghissima e ora pure con due gare per weekend. Una, la Sprint, decisamente a favore di alcuni rivali. A partire da Martin.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ma, giusto per chiudere questo commento controcorrente e che probabilmente non piacerà a chi ha dominato con merito in lungo e in largo le ultime due stagioni (e probabilmente farà così anche la prossima), va detto che esaltare Martin nel giorno in cui è andato oltre ogni limite, correndo alla Marc Marquez (diciamolo, un po’ sporco o comunque incurante degli altri in pista), è fuori luogo. Certo, c’era la pressione, l’atteggiamento del “o la va o la spacca”. Certo, c’erano gli spagnoli a soffiare su un fuoco già acceso, ma Jorge prima ha colpito Bagnaia (con un aletta poteva bucargli la gomma...) ed è rientrato in pista come un pazzo quasi centrando Aleix Espargaro, poi è andato fuori di testa per la resistenza di Viñales (ma come si permetteva), quindi ha speronato e fatto volare in modo orripilante proprio Marquez, che non s’è lamentato ammettendo che lui per primo corre così (d’altronde al via ha buttato a terra Bezzecchi).

Bagnaia nella storia

No, così non va. Bagnaia non farebbe mai e poi mai fatto qualcosa di simile. Perché non ne ha bisogno. La tripla, per restare sulla metafora cestistica dei suoi festeggiamenti, Pecco l’ha messa pulita, rischiando la vita a Barcellona e rialzandosi in silenzio per mettere i piedi praticamente sempre sul podio. E vincere il Mondiale vincendo, come Alvaro Bautista in Superbike. Perché è il migliore, il più forte. Anche della Ducati.

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Alla fine, in extremis, come un sorpasso e controsorpasso all’ultima curva dell’ultimo giro, Claudio Domenicali di rosso imparruccato annuncia che il prossimo anno l’assetto del team ufficiale e di quello semi-ufficiale Pramac non cambierà, ovvero che non ci sarà lo scambio tra Jorge Martin ed Enea Bastianini. Pensato, ventilato, fatto trapelare per altro proprio nel momento di maggiore difficoltà di Pecco Bagnaia (per non parlare di quello di Bastianini) nella sua sfida con il torello spagnolo. Sinceramente non una bella cosa, ma dal punto di vista della Ducati vincente. E chi vince ha sempre ragione. In quello la Ducati è coerente a sé stessa e continua a professare una feroce concorrenza interna con l’obiettivo di trovare sempre un cavallo vincente, anche a costo di bruciarlo, spomparlo, ucciderlo finanche. È successo in passato con Jorge Lorenzo e Andrea Dovizioso, ora che in pista ci sono otto Desmosedici e che sono nettamente le moto più veloci (700 punti nel Mondiale costruttori, la seconda - Ktm - doppiata...) per la Casa di Borgo Panigale diventa più facile ma per i piloti no. Volutamente. Domenicali infatti stoppa subito la proposta di un rinnovo pluriennale a Bagnaia per aprire un ciclo (cosa che Pecco ha già fatto, per altro), proprio per tenere tutti sempre sulla graticola. Sotto pressione. Perché così l’asticella sia alza e, il vero obiettivo, perché alla fine vinca la Ducati. Non importa con chi.

Ducati come la Ferrari

In questo la Ducati è davvero la Rossa Nazionale come lo era Ferrari del suo fondatore Enzo. Non quella di Montezemolo, che ha vinto più di tutti con un numero 1 chiaro. Ma il punto è un altro. Aprire il weekend dell’ultima sfida tra Bagnaia e Martin proponendo un titolo mondiale ex-aequo stile l’oro condiviso tra Tamberi e Barshim nel salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo 2020 sarà stato pure sentimentalmente un’uscita ad effetto, ma ha confermato una filosofia che ai piloti non piace. Perché sono animali da battaglia: provate a dire una cosa simile a Valentino Rossi... E continuare ancora ieri, da parte di tutti gli uomini Ducati, ad esaltare Martin come fosse un vincitore anche lui non ci è parso corretto. E rispettoso. Sì, rispettoso per un campione fenomenale che non ha vinto per caso. Bagnaia ha vinto perché è il più forte. Di testa, di caparbietà, di gestione di sè stesso, degli uomini, della moto, delle gomme, della stagione che è lunghissima e ora pure con due gare per weekend. Una, la Sprint, decisamente a favore di alcuni rivali. A partire da Martin.

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