Vialli, Boskov e Gullit
Lapidario come la sua Samp ’91 che chiude il girone di ritorno senza sconfitte: quando Ruud Gullit arrivò a Genova, nel 1993, Boskov vedendolo, palla al piede e testa alta, mangiarsi un nugolo di avversari, disse: «Gullit è come cervo che esce di foresta». E quando tornò al Milan, un anno dopo: «Gullit è come cervo ritornato in foresta». Non fu tenero invece con Perdomo, che nella stagione 1989-90 giocava nel detestato Genoa: «Se io sciolgo il mio cane, lui gioca meglio di Perdomo»; poi cercò di scusarsi, o glielo imposero, ma non gli uscì benissimo: «Io non dire che Perdomo giocare come mio cane. Io dire che lui potere giocare a calcio solo in parco di mia villa con mio cane». Ecco, peggio. Vialli dev’essere andato in fissa con le frasi e gli aforismi grazie al magistero di Boškov: ne ha riempito il libro, a ogni storia di grandi sportivi che racconta ha abbinato una frase motivazionale. La prima, che funziona, è “Le citazioni funzionano solo se tu funzioni”.
Vialli e la storia alla Juve
Quando viene ingaggiato dalla Juventus nel 1992 - a Torino vincerà la Coppa Uefa, lo scudetto, la Coppa Italia, la Champions con Marcello Lippi nel 1996 contro l’Ajax - non lo accolgono subito con il tappeto rosso: Trapattoni, che due anni dopo se ne andrà in Germania al Bayern Monaco, è convinto che Vialli sia ormai finito, troppi infortuni, troppi errori, e con Baggio non s’incastra granché. Al posto dell’allenatore-totem milanese, arriva Marcello Lippi. «Nei primi due anni di Juve ero “Brancaleone alle crociate” e non capivo. Ma come? Investi miliardi e poi mi fai allenare su un campo di patate, con poca assistenza e mi lasci da solo a preoccuparmi di tutto», confessò il calciatore, «Io ho bisogno di un profeta: se penso troppo mi faccio male, sono ossessivo, troppo perfezionista. E mi disperdo, mi deprimo. Io ho bisogno di pensare a giocare e basta. Ora lo faccio, ho attorno uno staff competente che decide per me. Il mio profeta è la Juventus e Lippi è l’uomo chiave». L’avvocato Giovanni Agnelli, che vede Vialli dopo il ritiro di Villar Perosa, dice a Lippi: «Scusa, ma questo Vialli quando è arrivato alla Juventus era grasso come un tacchino, adesso è magro, bello, corre e segna. Che cosa gli avete fatto?». E lo paragona a Gigi Riva. Sempre per rimanere sugli Agnelli: sono famose (o sono leggenda) le telefonate che l’avvocato faceva a Vialli tra le sei e le sette del mattino per cercare spiegazioni di quel gol là o di quel passaggio lì. Il calciatore obbligò le segretarie dell’Avvocato a mettere il suo nome in fondo alla lista delle chiamate: almeno il telefono squillava verso le otto. Vialli, quando il Divin Codino se ne va, diventa capitano: «Fare il capitano della Juventus è una grandissima soddisfazione, ma pure una grande responsabilità», dice, «ci sono molti oneri, ma anche molti onori. La fascia ti impone di cercare di non essere criticabile, negli atteggiamenti e nel rendimento». E con Del Piero e Ravanelli porta la squadra in Champions League. Gianni Brera nel 1992 scriveva di lui «è il nostro attaccante numero uno», ma già nell’85, dopo la finale contro il Milan in Coppa Italia, lo chiamava StradiVialli, poiché veniva da Cremona, la città dei violini Stradivari.