Plusvalenze Juve, dov’è il vantaggio? Rappresentano il 3,6% dei ricavi

I risvolti del ricorso bianconero contro il -15. Le plusvalenze sono tassate, non danno denaro per il mercato e pesano sul futuro
Matteo Brunori, 28 anni, ceduto dalla Juve al Palermo per 2 milioni più bonus, per Chiné ne valeva 0,4© www.imagephotoagency.it

Aver avuto un «vantaggio sportivo» che ha, in qualche modo, condizionato le competizioni rappresenta una passaggio chiave della sentenza di condanna, pronunciata il 20 gennaio dal giudice Torsello, presidente della Corte d’Appello della Figc, nel condannare la Juventus a quindici punti di penalità. E nel lungo ricorso che i legali della società bianconera hanno scritto si prova a scardinare quella teoria, calcolando la risibile percentuale che le plusvalenze contestate hanno avuto sui ricavi bianconeri nel triennio oggetto di indagine. Ebbene, a fronte di un fatturato di 1,675 miliardi di euro, le plusvalenze ritenute fittizie dalla giustizia sportiva sono 60 milioni, ovvero il 3,6%. Difficile pensare che possano aver cambiato in modo sostanziale la potenza di fuoco della Juventus sul mercato, per esempio. Ma proviamo ad analizzare in modo analitico la questione delle plusvalenze come motivo di vantaggio sportivo.

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Le plusvalenze derivanti da operazioni, cosiddette “a specchio”, possono aiutare a fare acquisti?

Tecnicamente no. Ovvero: generano un vantaggio per il bilancio e, quindi, indirettamente la possibilità di eff ettuare acquisti, ma 1. la somma generata nel triennio (60 milioni di euro) è infi nitamente inferiore a quella spesa sul mercato (il 12% di 475 milioni di euro) 2. le operazioni più importanti la Juventus le ha fatte con soldi contanti (vedi gli acquisti di Chiesa o Vlahovic che hanno fruttato alla Fiorentina di Commisso 135 milioni) che ha potuto spendere grazie ai due ravvicinati aumenti di capitale che hanno garantito un’iniezione di 700 milioni di euro nelle casse della società: sono quelli e non le plusvalenze che hanno contribuito alla possibilità di spesa e al pagamento delle rate degli acquisti precedenti.

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Ma allora perché la Juventus cercava disperatamente di realizzare plusvalenze e veniva chiesto a Paratici di produrne?

Questa è una domanda che non trova una risposta nelle carte del ricorso e tra quelle trapelate dall’indagine, ma potrebbe essere un tema della difesa in fase di processo penale. Certamente voler “abbellire” il bilancio attutendo le perdite con una pratica che non era (e non è) vietata da nessuna legge può essere una risposta. Di sicuro non sono servite per rientrare nei parametri di iscrizione al campionato (fatto già chiarito nei primi due processi sportivi sul tema plusvalenze) e a quelli del FairPlay finanziario.

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Ma una plusvalenza da scambio “a specchio” che vantaggio dà?

Rispetto a una plusvalenza sana, ovvero da vendita dei diritti sportivi di un giocatore per un corrispettivo in contanti, dà un vantaggio nell’immediato perché si segna a bilancio il totale della differenza fra la cifra stabilita e il prezzo a libro del giocatore ceduto, ma poi nel corso degli anni successivi si sconta l’ammortamento di quello acquisito alla stessa cifra. Insomma, il vantaggio è molto relativo perché finisce per appesantire il bilancio e, quindi, ridurre e non aumentare la possibilità di spesa nel corso delle stagioni successive. Ed è questa la ragione per la quale la Juventus ha smesso di utilizzare quella pratica, spesso criticata nelle intercettazioni dell’inchiesta Prisma (critiche che possono suonare come ammissioni di colpa, ma che la difesa juventina evidenzia come consapevolezza degli effetti contabili negativi).

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Ma fare plusvalenze con altri club non può condizionare i rapporti e quindi le partite?

La teoria del cosiddetto “sistema” che potrebbe avere effetti sul campo non trova riscontri sul campo. Essendo l’utilizzo delle plusvalenze da scambi a specchio molto diffusa in tutta la Serie A sarebbe difficile stabilire l’esistenza di una rete e dei suoi potenziali risvolti. Inoltre con le squadre con le quali la Juventus ha operato gli scambi ha una media punti inferiore alla media punti generale raccolta nelle stagioni in oggetto.

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Aver avuto un «vantaggio sportivo» che ha, in qualche modo, condizionato le competizioni rappresenta una passaggio chiave della sentenza di condanna, pronunciata il 20 gennaio dal giudice Torsello, presidente della Corte d’Appello della Figc, nel condannare la Juventus a quindici punti di penalità. E nel lungo ricorso che i legali della società bianconera hanno scritto si prova a scardinare quella teoria, calcolando la risibile percentuale che le plusvalenze contestate hanno avuto sui ricavi bianconeri nel triennio oggetto di indagine. Ebbene, a fronte di un fatturato di 1,675 miliardi di euro, le plusvalenze ritenute fittizie dalla giustizia sportiva sono 60 milioni, ovvero il 3,6%. Difficile pensare che possano aver cambiato in modo sostanziale la potenza di fuoco della Juventus sul mercato, per esempio. Ma proviamo ad analizzare in modo analitico la questione delle plusvalenze come motivo di vantaggio sportivo.

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