Lei arrivò alla Juventus dalla Fiorentina a 23 anni, Vlahovic lo ha fatto a 20 e finora in bianconero ha alternato alti e bassi. Quali sono le difficoltà di questo salto?
«Quando fai un passaggio di questo tipo cambia veramente tutto. Passi da una società come la Fiorentina, che è una grande società ma che punta a costruire i propri giocatori per poi fare anche delle valutazioni, a una come la Juve dove quando arrivi devi vincere. Non c’è storia. Vai e vai per vincere. E’ molto delicata la fase in cui arrivi, devi cambiare un po’ la mentalità, devi metterti un po’ al servizio: non è più tutto incentrato su di te, come giocatore e come persona, come poteva essere alla Fiorentina. Questa secondo me è la difficoltà maggiore, ma penso che Dusan innanzitutto si sia integrato benissimo e stia comunque facendo bene: si possono dire tante cose, ma è un giocatore straordinario. Poi se alla Fiorentina non fai gol per tre o quattro partite passa più inosservato, se lo fai alla Juve se ne parla di più. Ma questo è il processo di crescita che deve avere un giocatore: quando arrivi alla Juve e non fai gol da tre o quattro partite la pressione e le responsabilità aumentano, ma non è un male. Se il giocatore la prende nel modo giusto è una bella cosa: perché ti responsabilizza, ti fa aumentare lo status mentale e fisico di giocatore, ti fa stare lì a lavorare di più per riuscire a fare quello che devi. Ed è lì che cresci».
A proposito di crescere, lei ha visto i primi approcci in prima squadra di Fagioli anni fa e, nella scorsa stagione, di Miretti e Soulé. Che ne pensa della loro, di crescita?
«Credo che quello che sta succedendo ai giovani sia molto bello. Stanno crescendo a dismisura e questo fa bene a loro e alla Juventus. Stanno facendo un grandissimo campionato e sono felice per loro perché se lo meritano: tanto di cappello per loro prima e poi per la società».
La dote migliore di ognuno dei tre?
«Di Fagioli sicuramente la visione di gioco, la capacità di capire il movimento del compagno. Miretti è molto più dinamico e molto più istinitivo. Soulé ricorda un po’ Dybala da giovane: mancino, con questi sprazzi di fantasia nello stretto con cui riesce a cavarsela. Possono fare tutti e tre una grandissima carriera».
Il suo amico Chiesa sta uscendo da un anno brutto per via dell’infortunio ed ha ancora qualche acciacco: come lo vede in questo momento?
«Federico ha bisogno di tempo. Quando si esce da un infortunio così brutto ci vuole tempo, sia a livello fisico che a livello mentale, e gli va concesso. Sicuramente non è stato un anno facile per lui, ha avuto delle difficoltà ma era normale che fosse così. Lui deve solo stare il più tranquillo possibile, le qualità le ha tutte, come le ha sempre avute. Deve semplicemente continuare a lavorare e stare sereno, piano piano tornerà a fare le sue cose».
Delle 183 partite con la Juventus ce n’è una che rigiocherebbe?
«Sì. Il quarto di finale con l’Ajax in Champions League nel 2019. Perché quell’anno secondo me eravamo la squadra più forte d’Europa. C’è stata una serie di episodi troppo sfortunati che ci ha fatto uscire da una Champions che avremmo potuto vincere. Eravamo veramente forti quell’anno».
Dopo sette trofei con la Juve, tra cui tre Scudetti, e l’Europeo con la Nazionale, qual è il suo sogno nel calcio?
«Giocare un Mondiale. E’ un sogno a lunga scadenza, mancano quattro anni... La nostra generazione per varie vicissitudini non ha ancora avuto il piacere di giocare un Mondiale. Di sognarlo, di annusarlo, di sentirlo... Tutte queste cose ci mancano. Siamo campioni d’Europa ma tanti di noi non hanno mai giocato un Mondiale e questo fa un po’ impressione».
