"'Attaccate la Juve!' e facemmo 3 gol: Allegri ci fece sbancare Torino"

Intervista a Jeda, uno dei protagonisti di quella vittoria indmenticabile del Cagliari nel 2009. Una sfida a panchine invertite: c'era Ranieri su quella della Vecchia Signora

TORINO- Jeda non è stato soltanto uno dei protagonisti di quel Juve-Cagliari. Jeda, di quel Juve-Cagliari, è stato anche uno dei marcatori. Quel Juve-Cagliari, per inciso, è lo storico match del 31 gennaio 2009, terminato con il sorprendente punteggio di 3-2 per gli isolani. Sulle due panchine, proprio come capiterà domani pomeriggio, da una parte Ranieri e dall’altra Allegri, anche se - rispetto ad allora - l’ordine dei fattori si è invertito. «Ogni volta che le due squadre si incrociano, il mio pensiero corre subito a quel giorno - la premessa di Jeda, oggi 44 anni, per due anni allenato in Sardegna proprio dall’attuale tecnico dei bianconeri -. Ho letto che ne ha appena parlato anche Ranieri in conferenza, ammettendo di dimenticarsi più volentieri delle sconfitte che delle vittorie. Tranquillo, mister: ce la ricordiamo bene noi quella partita!».

Jeda, il Cagliari di Allegri espugna Torino: che emozioni si porta dietro a quattordici anni di distanza da quel giorno? 
«Ricordo una partita spettacolare, giocata a viso aperto e in maniera perfetta da parte nostra. Di fronte non avevamo una Juve stratosferica, ma avevamo pur sempre battuto giocatori come Nedved e Del Piero. La sfida aveva esaltato le qualità di quel Cagliari, che con il pallone tra i piedi giocava tanto e anche bene». 
 
Quella di Allegri difensivista, quindi, è soltanto una favola? 
«Prima della partita ci aveva spiegato che l’unico modo per limitare la Juve era attaccarla, senza timore della maglia o dei nomi scritti sulla schiena. Ci aveva spronato a essere sbarazzini». 


 
Ritiene che il tecnico oggi abbia cambiato il suo credo? 
«Allegri non è assolutamente un allenatore difensivista, bensì uno che sa adattarsi molto bene alle qualità della rosa che ha a disposizione. Oggi la Juventus ha in organico elementi forti, ma che non dispongono delle caratteristiche per comandare il gioco: il resto è una conseguenza. Al contrario, quel Cagliari sapeva e voleva giocare sempre la palla. A lui piace molto il bel gioco, si esalta di fronte a profili tecnici che sanno gestire bene la sfera. In due stagioni non ricordo una sola volta in cui ci avesse chiesto di essere attendisti…». 
 
Che ricordi conserva di quella stagione, iniziata con cinque sconfitte di fila e conclusa a un passo dalla qualificazione alle coppe? 
«C’era tanto scetticismo intorno ad Allegri, perché arrivava dalle serie inferiori ed era alla prima esperienza in A. Ma Cellino aveva avuto una buona intuizione e noi giocatori, dopo l’avvio complicato, gli avevamo fatto capire che la strada intrapresa era quella giusta». 
 
Come era arrivata la svolta? 
«Continuando lungo il percorso che avevamo cominciato. Allegri ci aveva trasmesso grande serenità: vedeva segnali positivi ed era rimasto tranquillo, quello ci aveva aiutato molto. Non si era fatto prendere dal panico e non aveva cambiato nulla nel modo di lavorare in settimana. Così, alla sesta giornata, avevano finalmente mosso la classifica pareggiando contro un Milan colmo di fenomeni». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 
E come vede l’Allegri di oggi rispetto a quello di allora? 
«Era eccezionale nella gestione dello spogliatoio e credo sia rimasto tale. Con il tempo, anzi, tutt’al più è migliorato. Sicuramente per lui è cambiato il livello di pressione: ora è sempre sotto tiro, nell’ultima stagione è rimasto sostanzialmente solo, e così mi spiego alcuni episodi di nervosismo. Avendo nel frattempo vinto molto, al limite, oggi mi sembra ancor più consapevole delle sue qualità». 
 
Ma, secondo lei, fin dove può arrivare questa Juventus? 
«Parto dalla premessa per cui l’esclusione dalle Coppe non ritengo rappresenti un vantaggio. Scendere in campo in Champions League ti galvanizza e ti dà fiducia, se hai un organico adeguatamente attrezzato. L’assenza di impegni infrasettimanali, in più, ti conferisce una sorta di obbligo nei confronti del campionato, a maggior ragione se ti chiami Juventus e non puoi accontentarti di arrivare tra le prime quattro. I bianconeri sono lì e lì hanno tutte le possibilità di rimanere». 
 
Sì, ma per lo scudetto? 
«Credo che soprattutto Juve e Milan abbiano le carte in regola per mettere pressione fino in fondo all’ Inter che, per qualità del gioco e per profondità dell’organico, rappresenta la vera favorita». 
 
E il Cagliari, invece? 
«La squadra di certo non deve adagiarsi sugli allori degli ultimi risultati, perché qualche lacuna soprattutto a livello difensivo c’è ancora. Ma in organico ci sono le qualità per costruirsi un cammino tranquillo al di sopra della zona salvezza». 
 
Ha un consiglio da dare ai rossoblù in vista dell’impegno di domani allo Stadium? 
«Non chiudersi dietro, naturalmente. Noi lo avevamo evitato ed era andata piuttosto bene!»

 

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TORINO- Jeda non è stato soltanto uno dei protagonisti di quel Juve-Cagliari. Jeda, di quel Juve-Cagliari, è stato anche uno dei marcatori. Quel Juve-Cagliari, per inciso, è lo storico match del 31 gennaio 2009, terminato con il sorprendente punteggio di 3-2 per gli isolani. Sulle due panchine, proprio come capiterà domani pomeriggio, da una parte Ranieri e dall’altra Allegri, anche se - rispetto ad allora - l’ordine dei fattori si è invertito. «Ogni volta che le due squadre si incrociano, il mio pensiero corre subito a quel giorno - la premessa di Jeda, oggi 44 anni, per due anni allenato in Sardegna proprio dall’attuale tecnico dei bianconeri -. Ho letto che ne ha appena parlato anche Ranieri in conferenza, ammettendo di dimenticarsi più volentieri delle sconfitte che delle vittorie. Tranquillo, mister: ce la ricordiamo bene noi quella partita!».

Jeda, il Cagliari di Allegri espugna Torino: che emozioni si porta dietro a quattordici anni di distanza da quel giorno? 
«Ricordo una partita spettacolare, giocata a viso aperto e in maniera perfetta da parte nostra. Di fronte non avevamo una Juve stratosferica, ma avevamo pur sempre battuto giocatori come Nedved e Del Piero. La sfida aveva esaltato le qualità di quel Cagliari, che con il pallone tra i piedi giocava tanto e anche bene». 
 
Quella di Allegri difensivista, quindi, è soltanto una favola? 
«Prima della partita ci aveva spiegato che l’unico modo per limitare la Juve era attaccarla, senza timore della maglia o dei nomi scritti sulla schiena. Ci aveva spronato a essere sbarazzini». 


 
Ritiene che il tecnico oggi abbia cambiato il suo credo? 
«Allegri non è assolutamente un allenatore difensivista, bensì uno che sa adattarsi molto bene alle qualità della rosa che ha a disposizione. Oggi la Juventus ha in organico elementi forti, ma che non dispongono delle caratteristiche per comandare il gioco: il resto è una conseguenza. Al contrario, quel Cagliari sapeva e voleva giocare sempre la palla. A lui piace molto il bel gioco, si esalta di fronte a profili tecnici che sanno gestire bene la sfera. In due stagioni non ricordo una sola volta in cui ci avesse chiesto di essere attendisti…». 
 
Che ricordi conserva di quella stagione, iniziata con cinque sconfitte di fila e conclusa a un passo dalla qualificazione alle coppe? 
«C’era tanto scetticismo intorno ad Allegri, perché arrivava dalle serie inferiori ed era alla prima esperienza in A. Ma Cellino aveva avuto una buona intuizione e noi giocatori, dopo l’avvio complicato, gli avevamo fatto capire che la strada intrapresa era quella giusta». 
 
Come era arrivata la svolta? 
«Continuando lungo il percorso che avevamo cominciato. Allegri ci aveva trasmesso grande serenità: vedeva segnali positivi ed era rimasto tranquillo, quello ci aveva aiutato molto. Non si era fatto prendere dal panico e non aveva cambiato nulla nel modo di lavorare in settimana. Così, alla sesta giornata, avevano finalmente mosso la classifica pareggiando contro un Milan colmo di fenomeni». 

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