Fagioli, il dottor Jarre sul rischio di recidiva
Il fatto che Fagioli abbia preso coscienza del problema è stato un aiuto importante nella terapia?
"Quando uno chiede aiuto non dico che è a metà del percorso ma ne ha fatto un buon tratto: sul gioco azzardo e l’alcol, che sono comportamenti legali, è molto frequente che le persone neghino il problema".
Il gioco d’azzardo è un problema diffuso: quanti giovani in Piemonte sono affetti da ludopatia come Fagioli?
"In Piemonte sono stimati tra i 35 e i 50 mila soggetti con significativi problemi di gioco d’azzardo. Di questi, 4-5 mila sono ragazzi scolarizzati, adolescenti tra i 14 e i 19 anni. In totale, in cura nei servizi pubblici sono mille: la proporzione di chi chiede aiuto è piccolissima perché richiede un gesto di umiltà".
Il fatto di avere tanti soldi facilita la dipendenza?
"No, né la facilita né la complica. Inizialmente può dare il senso di poter controllare il gioco perché uno può permettersi di scommettere. Poi però il gioco è fatto per fare perdere il controllo alle persone, se uno ha mille si gioca mille, se ha un milione gioca un milione. Da intrattenimento diventa trattenimento e poi dipendenza, come è accaduto a Nicolò: il paradosso è che gli scommettitori pensano di poter recuperare con lo stesso strumento con cui hanno perso, in realtà più giocano e più perdono, è una legge matematica stabilita dal banco".
C’è il rischio di una recidiva?
"Non si può mai dire nei comportamenti di dipendenza di aver raggiunto la guarigione: si può raggiungere una stabilità, una remissione, ma la vulnerabilità rimane. Curare la fragilità è riconoscerla, l’indole non la si può cambiare: la cura è fatta nel riconoscimento di questa fragilità. Non servono atteggiamenti da super eroi o nascondere la polvere sotto il tappeto, ma bisogna abituarsi a 'vivere con la porta aperta'. Il desiderio di scommettere può ricomparire perché mi devo premiare per una cosa bella che ho fatto oppure mi devo consolare per una circostanza negativa che mi è accaduta. I fattori di rischio per le recidive ci sono e gran parte del lavoro clinico è proprio costituito dalla prevenzione della recidiva".