Montero chiude la stagione Juve con una novità. Poi toccherà a Thiago Motta

Difesa del gruppo e corsa a pugni chiusi: il tecnico uruguaiano si gode un esordio da guerriero

La serenità non è proprio il primo stato d’animo che uno associa a Paolo Montero, o almeno al Montero calciatore, che nell’immaginario collettivo rappresenta tuttora la versione principale del cinquantaduenne di Montevideo. Dal fischio d’inizio di Bologna-Juventus fino al termine della conferenza nella sala stampa del Dall’Ara, invece, proprio la serenità è stata il tratto dominante del Montero allenatore ad interim della prima squadra - come lo è d’altra parte abitualmente del Montero allenatore della Primavera bianconera -.

Montero, Bologna-Juve e il risultato

Con un’unica eccezione: il gol del 3-3 di Yildiz, talento che proprio lui era stato il primo a coltivare a Vinovo all’inizio della scorsa stagione. A quella rete Montero si è lasciato andare a una corsa esultante come fosse ancora calciatore, incurante della pioggia battente così come del fatto che la partita e il suo risultato non fossero certo vitali per la stagione bianconera. Però sapeva che grazie a quel gol la Juve molto probabilmente non avrebbe perso e avrebbe potuto provare a strappare una vittoria (quasi riuscendoci, quando Aebischer ha deviato in extremis un tiro a colpo piuttosto sicuro di Chiesa). E l’importanza della differenza tra perdere e vincere, ovvero del risultato, è invece eccome una delle prime cose che vengono in mente quando si pensa a Montero, come d’altra parte quando si pensa alla Juventus.

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Montero, i valori e il Dna Juve

Dei cui valori l’uruguaiano è diventato simbolo - e idolo dei tifosi - da giocatore e ora cerca di trasmetterli da allenatore: “Plantar una semilla” - “Piantare un seme” - si intitola il documentario dedicato a lui un paio di mesi fa da Juventus Creator Lab, il laboratorio che produce i contenuti dei canali ufficiali bianconeri. Perché il Dna Juve, a dispetto del nome, non è qualcosa che si ha dentro, ma che si impara e si insegna. Si coltiva, appunto, come un seme. Come ha ripetuto anche lunedì sera a Bologna: «Io non ho il Dna Juve. Ho imparato che il Dna della Juventus è lavoro, sacrificio, sforzo, unione, famiglia: questo è quello che mi hanno insegnato da quando sono arrivato nel 1996».

È quello che da due stagioni cerca ora di insegnare ai ragazzi della Primavera e che per una settimana, da domenica a sabato sta cercando di continuare a far crescere nei giocatori della prima squadra. Giocatori nei cui confronti non si è certo posto sul piedistallo del suo status di leggenda bianconera, nello svolgere il ruolo di traghettatore tra Massimiliano Allegri e - quasi certamente - il suo amico Thiago MottaAbbiamo fatto il corso assieme a Coverciano, una persona eccezionale»).

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Montero, il Monza e... Thiago Motta

Li ha difesi, per l’approccio di lunedì sera - «Dopo una vittoria come quella di mercoledì è normale avere un calo e in una situazione così abbiamo trovato uno degli avversari peggiori possibili» - e per la stagione: «Per me è positiva, a inizio anno gli obiettivi erano qualificarsi alla Champions e vincere la Coppa Italia e li hanno ottenuti». Li ha aiutati a mantenere la calma ricordando loro che «Come dicevo a Federico Chiesa, è un episodio che ti cambia la partita» e li ha applauditi: «La cosa più importante è l’orgoglio con cui hanno reagito: hanno dimostrato che hanno grinta e che sono attaccati alla maglia». Quella maglia che, cerca di spiegare ai ragazzi, come racconta nel citato documentario «è sacra. E Vinovo (sede delle partite della Primavera, ndr) è la nostra casa: e quando viene un avversario casa nostra non si tocca».

Sabato casa di Montero tornerà ad essere per un giorno (adesso, poi in futuro chissà...) l’Allianz Stadium, quel campo su cui giocava quando intorno c’erano le tribune lontane del Delle Alpi. E cercherà di condurre la Juve a non farlo toccare, chiudendo la stagione con una vittoria sul Monza. Magari, con qualche giorno di allenamenti a disposizione, provando anche a variare qualcosa dal punto di vista tattico: per esempio provando subito il 4-3-3 varato lunedì a inizio ripresa, quando ha inserito Yildiz per Gatti, andando a cercare quell’episodio che, come aveva detto a Chiesa, avrebbe potuto cambiare la partita. Cambiare la Juve, poi, toccherà al suo amico Thiago Motta.

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La serenità non è proprio il primo stato d’animo che uno associa a Paolo Montero, o almeno al Montero calciatore, che nell’immaginario collettivo rappresenta tuttora la versione principale del cinquantaduenne di Montevideo. Dal fischio d’inizio di Bologna-Juventus fino al termine della conferenza nella sala stampa del Dall’Ara, invece, proprio la serenità è stata il tratto dominante del Montero allenatore ad interim della prima squadra - come lo è d’altra parte abitualmente del Montero allenatore della Primavera bianconera -.

Montero, Bologna-Juve e il risultato

Con un’unica eccezione: il gol del 3-3 di Yildiz, talento che proprio lui era stato il primo a coltivare a Vinovo all’inizio della scorsa stagione. A quella rete Montero si è lasciato andare a una corsa esultante come fosse ancora calciatore, incurante della pioggia battente così come del fatto che la partita e il suo risultato non fossero certo vitali per la stagione bianconera. Però sapeva che grazie a quel gol la Juve molto probabilmente non avrebbe perso e avrebbe potuto provare a strappare una vittoria (quasi riuscendoci, quando Aebischer ha deviato in extremis un tiro a colpo piuttosto sicuro di Chiesa). E l’importanza della differenza tra perdere e vincere, ovvero del risultato, è invece eccome una delle prime cose che vengono in mente quando si pensa a Montero, come d’altra parte quando si pensa alla Juventus.

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