Motta punching ball, la dirigenza dov'è? Le parole sbagliate e quelle che mancano

Il problema è la batosta storica subita in casa e non quello che si è (o non si è) detto alla fine. Tuttavia, diceva quel tale, le parole sono importanti. Se ne è discusso dopo l’altra figuraccia di queste settimane, l’eliminazione contro i giovani dell’Empoli: Motta infuriato che si vergogna ad alta voce ma nel dopo partita viene lasciato solo dalla società fino al giorno dopo, quando Giuntoli recupera con una breve chiacchierata a Sky e la conferma della fiducia al tecnico e al progetto. Magari i giornali non hanno creduto troppo alle sue parole, visto che il giorno successivo sono apparsi i nomi e le facce di sette allenatori pronti alla successione di Thiago, ma quantomeno c’è stata una parola ufficiale dei dirigenti. Sempre sul tema dichiarazioni, proprio su queste colonne si era aggiunto che dopo una vittoria come quella di Cagliari, la quarta consecutiva in campionato, sarebbe stato il caso di fare notare, senza alzare troppo i toni, che una spinta a due mani in area sul centravanti lanciato a rete dovrebbe essere sempre rigore e rosso, Var o non Var. Silenzio.

Una sconfitta che resterà nella storia

Vi è stata un’altra occasione dopo Juventus-Verona, quinta vittoria consecutiva, maturata nonostante un enorme fallo di mani dei rivali in area non rilevato in campo e al monitor: lì, senza scimmiottare le periodiche lamentele di tecnici che passano serenamente più tempo in campo che fuori e di dirigenti e allenatori che si ricordano di parlare di arbitri solo quando la svista va a loro svantaggio, si sarebbe potuto fare notare con un sorriso che le ascelle non sono così grandi come immaginano gli addetti al Var di quella partita. Tutto questo fino al post Juventus-Atalanta, sconfitta che resterà nella storia della Juve, in cui il risultato è la nota più positiva della serata, visto che i gol subiti avrebbero potuto serenamente essere un paio in più, se non fosse stato per un (bravissimo) Di Gregorio in versione Peruzzi. Al fischio finale siamo già tutti arrabbiati, lo stadio ha perso la metà dei presenti e anche le televisioni hanno spettatori distratti da diversi minuti da altre faccende, visto lo scarso equilibrio del match. Aspettiamo Motta e magari, per una volta, un dirigente, per spiegare come mai la Juve alterni degli alti incoraggianti e dei bassi da record. Spiegare, insomma, come si reagisca a un capitombolo casalingo dalle proporzioni inedite da queste parti, quantomeno per chi ha meno di sessantacinque anni.

 

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Motta non sa cosa dire, dov'è la società?

Arriva Motta che, profondamente deluso, ha l’aria di chi non ha molto da spiegare. “Il gioco dell’Atalanta”, e va bene. “La squadra giovane e inesperta”, e va già un po’ meno bene. Poi, all’improvviso, arriva il momento invocato da tempo da tanti tifosi bianconeri: il riferimento al “rigore discutibile”, tuttavia, arriva nella serata meno adatta. Probabilmente l’unica in cui, date l’entità e le modalità della sconfitte, pregavamo che non se ne parlasse. Sembrano parole di chi ha perso di misura, non comprendendo appieno – o quantomeno non sapendo spiegare compiutamente – la portata di quella prestazione e di quel risultato. Dopo di lui arriva Locatelli, che si alterna con Perin in questo ciclo di interviste complicate post delusioni. Poi

nessun altro.

 

Anche stavolta Motta e i giocatori vengono lasciati completamente soli, inevitabili punching ball di tifosi eufemisticamente definibili come delusi, quando sarebbe bello sentire una forte parola di conforto, una spiegazione, una dichiarazione di intenti, qualunque cosa, non foss’altro per placare le sicure polemiche, ipotesi, congetture che si sarebbero scatenate da lì in avanti. Di fronte a sconfitte leggendarie, a progetti in bilico, a eliminazioni cocenti, la storia del club ci ha insegnato che l’allenatore non va lasciato solo. Serve anche la voce della società, che non deve avere timore di affrontare i problemi, ma deve essere onorata di affrontarli quotidianamente a testa alta indossando il logo della Juventus sulla giacca. Le parole giuste a fine partita, lo sappiamo, non portano punti. Ma magari, questa volta, sarebbero servite a evitare il quinto gol della serata.

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Il problema è la batosta storica subita in casa e non quello che si è (o non si è) detto alla fine. Tuttavia, diceva quel tale, le parole sono importanti. Se ne è discusso dopo l’altra figuraccia di queste settimane, l’eliminazione contro i giovani dell’Empoli: Motta infuriato che si vergogna ad alta voce ma nel dopo partita viene lasciato solo dalla società fino al giorno dopo, quando Giuntoli recupera con una breve chiacchierata a Sky e la conferma della fiducia al tecnico e al progetto. Magari i giornali non hanno creduto troppo alle sue parole, visto che il giorno successivo sono apparsi i nomi e le facce di sette allenatori pronti alla successione di Thiago, ma quantomeno c’è stata una parola ufficiale dei dirigenti. Sempre sul tema dichiarazioni, proprio su queste colonne si era aggiunto che dopo una vittoria come quella di Cagliari, la quarta consecutiva in campionato, sarebbe stato il caso di fare notare, senza alzare troppo i toni, che una spinta a due mani in area sul centravanti lanciato a rete dovrebbe essere sempre rigore e rosso, Var o non Var. Silenzio.

Una sconfitta che resterà nella storia

Vi è stata un’altra occasione dopo Juventus-Verona, quinta vittoria consecutiva, maturata nonostante un enorme fallo di mani dei rivali in area non rilevato in campo e al monitor: lì, senza scimmiottare le periodiche lamentele di tecnici che passano serenamente più tempo in campo che fuori e di dirigenti e allenatori che si ricordano di parlare di arbitri solo quando la svista va a loro svantaggio, si sarebbe potuto fare notare con un sorriso che le ascelle non sono così grandi come immaginano gli addetti al Var di quella partita. Tutto questo fino al post Juventus-Atalanta, sconfitta che resterà nella storia della Juve, in cui il risultato è la nota più positiva della serata, visto che i gol subiti avrebbero potuto serenamente essere un paio in più, se non fosse stato per un (bravissimo) Di Gregorio in versione Peruzzi. Al fischio finale siamo già tutti arrabbiati, lo stadio ha perso la metà dei presenti e anche le televisioni hanno spettatori distratti da diversi minuti da altre faccende, visto lo scarso equilibrio del match. Aspettiamo Motta e magari, per una volta, un dirigente, per spiegare come mai la Juve alterni degli alti incoraggianti e dei bassi da record. Spiegare, insomma, come si reagisca a un capitombolo casalingo dalle proporzioni inedite da queste parti, quantomeno per chi ha meno di sessantacinque anni.

 

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