Pagina 2 | Retroscena Vlasic, la gioia dopo la malattia: non lo sapeva nessuno…

Riecco Niksi, ma quello vero. Niksi, come lo chiamano famigliari e amici. E come lo chiama anche Juric, nel loro rapporto che si nutre pure di affetto. Niksi sta per Nikola, ma non è un vezzoso diminutivo in croato, è un soprannome che il padre del folletto di Spalato gli diede quando ancora era un bambino, ispirandosi a un personaggio dei cartoni animati. E se oggi c’è un granata che può imprimere un’improvvisa nuova accelerazione e favorire un ulteriore salto in alto della squadra, beh, quello è proprio Vlasic. Nikola, Niksi, può rappresentare la vera rivelazione del Toro nel girone di ritorno. Da tempo era in crescita, poi col Napoli l’eclettico trequartista 26enne ha piazzato finalmente la sua miglior prova stagionale per qualità, efficacia e continuità nell’arco dei 90 minuti, sulla falsariga della prova contro l’Atalanta di inizio dicembre (un altro 3 a 0, quella volta con due assist suoi; domenica scorsa, il gol del colpo di grazia, il 2 a 0).

Il recupero di Vlasic

Già da un paio di mesi Vlasic sta ritrovando smalto e verve, ispirazione, ossigeno tattico, fiducia, incisività. «Adesso sto decisamente meglio, mi alleno bene, mi sento sempre più in forma, sto tornando me stesso. Avanti così e sarò di nuovo io, ai miei livelli più alti come quando giocavo in Russia», diceva qualche settimana fa sull’onda di una comprensibile fiducia (33 reti in un centinaio di presenze con il Cska, tra il 2018 e il ‘21: quando poi il West Ham lo comprò per 26 milioni più 8 di bonus). Parole mai così attuali, ora che il suo score è salito a 2 reti e altrettanti assist in stagione, all’interno di una crescita complessiva che investe sia il cambio di modulo (decisivo anche per lui, il passaggio alle due punte) sia l’intima serenità che lo anima come nella prima parte dello scorso campionato, prima del Mondiale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 Dalla malattia al rientro in campo

Faceva scintille, prima e poi in Qatar. Si arrotolò invece in un’involuzione fin incomprensibile, nei mesi successivi. Il primo semestre dello scorso anno solare rappresentò quasi un buco nero per lui: inghiottito nel grigiore, nonostante la costante, grande professionalità nel lavoro, l’impegno mai venuto meno. Ma cosa si scopre, adesso? Che dietro a quelle problematiche c’erano non solo le stanchezze post Mondiale, ma pure una malattia che lo ha debilitato parecchio e a lungo. La mononucleosi. I cui effetti, per l’appunto, possono anche fiaccare il fisico di un atleta che al contrario dovrebbe sempre girare a mille. A febbraio, a marzo, Nikola si interrogava: non comprendeva il perché non riuscisse più a brillare. E psicologicamente pativa. Però non aveva avuto sintomi palesi, febbri alte. Il suo malessere sembrava fin misterioso. Debolezze ricorrenti, una strana stanchezza che andava e veniva. Nulla di preoccupante, comunque. Evitò persino di confidarsi coi medici, non ne sentiva l’urgenza, la necessità.

Il nuovo ruolo in campo

Finché (ma a quel punto si era già a primavera inoltrata) il suo piccolo bimbo di 6 mesi non iniziò ad accusare, lui sì, una febbre molto alta e prolungata. Fu sottoposto a test specifici, venne fuori che aveva preso la mononucleosi. A quel punto i medici consigliarono anche ai genitori di sottoporsi agli esami. E si scoprì che entrambi erano stati soggetti in precedenza a quella malattia, sovente infingarda: ne erano rimaste chiare tracce nel corpo. «Ecco perché non riuscivo più a rendere come volevo!», esclamò Nikola quando lo seppe, spazzando via in un colpo solo anche un bel po’ di dubbi e scoramenti.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vlasic con la mononucleosi

Non aveva torto: la mononucleosi ne aveva ostacolato il decollo post Mondiale, limitandolo nella verve atletica. In carriera, non era mai stato così a lungo fuori forma, senza quell’esplosività nel dribbling e al tiro che lo aveva contraddistinto pure nei primi mesi in granata (secondo semestre 2022). In questa stagione, poi, il cambio di modulo degli ultimi 2 mesi ha rappresentato la chiave giusta anche per la sua serratura: trequartista libero di svariare e inventare dietro a Zapata e Sanabria, con attitudini da mezzala nella fase di non possesso. Con il Napoli, la perla del 2 a 0 (una saetta disegnata da un bisturi) in mezzo a una prova ispirata e tagliente.
 
Nel suo ruolo ideale, surfando sull’entusiasmo individuale e collettivo, potrà continuare a brillare, nel ritorno, davvero come ai vecchi tempi. Di sicuro non come lo schierava Moyes a Londra, praticamente e assurdamente da esterno alla...Bellanova (però a sinistra, a differenza dello stantuffo granata). Comprato in estate a un ottimo prezzo (circa 9,5 milioni), sotto contratto sino al ‘27, Vlasic ha rinunciato anche a parecchi soldi pur di stracciare in anticipo il contratto inglese e riabbracciare Juric: mezzo milione netto. Lo aveva già fatto 12 mesi prima, pur di arrivare in prestito. Nelle speranze, un grande ritorno di campionato attende Nikola, dopo aver a lungo atteso (e infine ritrovato) se stesso. Ora sappiamo tutti cos’ha dovuto passare nel corpo e nella psiche, quando le gambe non giravano. Bentornato, Niksi.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 Dalla malattia al rientro in campo

Faceva scintille, prima e poi in Qatar. Si arrotolò invece in un’involuzione fin incomprensibile, nei mesi successivi. Il primo semestre dello scorso anno solare rappresentò quasi un buco nero per lui: inghiottito nel grigiore, nonostante la costante, grande professionalità nel lavoro, l’impegno mai venuto meno. Ma cosa si scopre, adesso? Che dietro a quelle problematiche c’erano non solo le stanchezze post Mondiale, ma pure una malattia che lo ha debilitato parecchio e a lungo. La mononucleosi. I cui effetti, per l’appunto, possono anche fiaccare il fisico di un atleta che al contrario dovrebbe sempre girare a mille. A febbraio, a marzo, Nikola si interrogava: non comprendeva il perché non riuscisse più a brillare. E psicologicamente pativa. Però non aveva avuto sintomi palesi, febbri alte. Il suo malessere sembrava fin misterioso. Debolezze ricorrenti, una strana stanchezza che andava e veniva. Nulla di preoccupante, comunque. Evitò persino di confidarsi coi medici, non ne sentiva l’urgenza, la necessità.

Il nuovo ruolo in campo

Finché (ma a quel punto si era già a primavera inoltrata) il suo piccolo bimbo di 6 mesi non iniziò ad accusare, lui sì, una febbre molto alta e prolungata. Fu sottoposto a test specifici, venne fuori che aveva preso la mononucleosi. A quel punto i medici consigliarono anche ai genitori di sottoporsi agli esami. E si scoprì che entrambi erano stati soggetti in precedenza a quella malattia, sovente infingarda: ne erano rimaste chiare tracce nel corpo. «Ecco perché non riuscivo più a rendere come volevo!», esclamò Nikola quando lo seppe, spazzando via in un colpo solo anche un bel po’ di dubbi e scoramenti.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...