Dalla malattia al rientro in campo
Faceva scintille, prima e poi in Qatar. Si arrotolò invece in un’involuzione fin incomprensibile, nei mesi successivi. Il primo semestre dello scorso anno solare rappresentò quasi un buco nero per lui: inghiottito nel grigiore, nonostante la costante, grande professionalità nel lavoro, l’impegno mai venuto meno. Ma cosa si scopre, adesso? Che dietro a quelle problematiche c’erano non solo le stanchezze post Mondiale, ma pure una malattia che lo ha debilitato parecchio e a lungo. La mononucleosi. I cui effetti, per l’appunto, possono anche fiaccare il fisico di un atleta che al contrario dovrebbe sempre girare a mille. A febbraio, a marzo, Nikola si interrogava: non comprendeva il perché non riuscisse più a brillare. E psicologicamente pativa. Però non aveva avuto sintomi palesi, febbri alte. Il suo malessere sembrava fin misterioso. Debolezze ricorrenti, una strana stanchezza che andava e veniva. Nulla di preoccupante, comunque. Evitò persino di confidarsi coi medici, non ne sentiva l’urgenza, la necessità.
Il nuovo ruolo in campo
Finché (ma a quel punto si era già a primavera inoltrata) il suo piccolo bimbo di 6 mesi non iniziò ad accusare, lui sì, una febbre molto alta e prolungata. Fu sottoposto a test specifici, venne fuori che aveva preso la mononucleosi. A quel punto i medici consigliarono anche ai genitori di sottoporsi agli esami. E si scoprì che entrambi erano stati soggetti in precedenza a quella malattia, sovente infingarda: ne erano rimaste chiare tracce nel corpo. «Ecco perché non riuscivo più a rendere come volevo!», esclamò Nikola quando lo seppe, spazzando via in un colpo solo anche un bel po’ di dubbi e scoramenti.
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