Sainz, cosa c'è dietro il capolavoro tattico Ferrari: perché ora è un leader

A Singapore la Rossa interrompe il digiuno di vittorie dopo ben 434 giorni. Una gara tutta strategia e coraggio dello spagnolo: è la svolta?

Una birra ghiacciata. Seduto su una poltrona nella notte di Singapore, matido di spumante e sudore, Carlos Sainz abbraccia il trofeo come un padre stravolto dalla gioia sofferta di un lungo travaglio che si concede una caña. Due ore e mezzo prima lo spagnolo ha riscritto la storia sua e della Ferrari, interrompendo un digiuno che durava 434 giorni (10 luglio 2022, quando Charles Leclerc sognava ancora un Mondiale Godot) e la striscia vincente di Max Verstappen (10 trionfi) e della Red Bull (13).

Come Gerhard Berger che nel 1988 a Monza mise fine sulla Rossa al record della McLaren di Senna e Prost, ma con un capolavoro di tattica, personalità e resilienza che ricorda quello di Jacques Villeneuve nel 1981 a Jarama, il circuito alle porte della sua Madrid. Mettendosi a capo di un trenino più assatanato che festante gestendo ritmo, giravolte e acuti manco un cenone natalizio. E alla fine, dopo aver inventato il Drs a favore di un avversario (l’amico ed ex compagno di squadra Norris) come arma difensiva da quelli più pericolosi (le Mercedes di Russell e Hamilton), si mette pure a canticchiare “Smooth Operator”.

Sainz genio della tattica

Sì, matador e volpone. Genio della tattica se volete tradurre così il titolo della canzone di Sade che dal Brasile 2019, quando Carlos rimontò dalla 20ª alla 4ª posizione (diventata poi podio per la penalizzazione di Hamilton), è diventato il suo soprannome. Solo che da “operaio” della F1 ed eterno “figlio di” (papà Senior re dei rally e della Dakar) cresciuto all’ombra dell’idolo Alonso, Junior nel giro di due settimane s’è trasformato in leader. Prima il podio della maturità e tutto difesa di Monza, poi questa vittoria inattesa costruita con un’altra pole e una cavalcata al trotto di chi si sente più forte degli altri.

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Ferrari, ecco il pilota per il Mondiale

Così, otto anni dopo “L’Italiano” Sebastian Vettel, che proprio a Singapore cantava per radio la sua versione della hit di Toto Cotugno, la Ferrari finalmente trova il pilota per conquistare l’agognato titolo mondiale che a Maranello manca dal 2007 (Raikkonen), l’uomo squadra in grado di andare oltre i limiti della macchina. Non guidandoci sopra, ma indirizzandone lo sviluppo lavorando ore e ore al simulatore in fabbrica per trovare soluzione ai difetti di nascita e portandola dalla sua parte. Quello che Leclerc, talento purissimo, non è riuscito a fare. Per dettagli, quelli che definiscono la differenza tra chi vince e chi non sale sul podio. I millesimi in qualifica, il rallentare troppo dietro il compagno per il doppio pit-stop dovuto alla safety car entrata per il botto di Sargeant (errore che gli è costato la perdita di due posizioni per dover aspettare il transito di Hamilton e Norris) e la distrazione Perez e Norris in battaglia che lo fa infilzare da Hamilton.

Sainz, le parole e il senso di rinascita

«È una sensazione incredibile, un fine settimana incredibile. Voglio ringraziare ogni membro della Ferrari per aver fatto uno sforzo incredibile per dare una svolta alla stagione» le prime parole di Sainz. Già la ripetitività dell’aggettivo disegna il peso di un capolavoro che vale molto più della seconda vittoria personale (dopo Silverstone 2022), la 243ª per la Ferrari. C’è un senso di rinascita. Una specie di cambio di pelle, metamorfosi da bruco in farfalla finanche. «Siamo riusciti a vincere dopo un inizio difficile, abbiamo fatto un weekend perfetto. Sono sicuro che tutta l’Italia e i tifosi della Ferrari siano felici» le altre parole. Da leader. Solo chi si sente tale può mettere in pratica una strategia da “volpone”.

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Sainz, la strategia

Prima gestendo una gara sotto ritmo per non pagare dazio sul consumo delle gomme (il limite della SF-23), poi rallentando il giusto per concedere a Norris il Drs. Una sua scelta, non della squadra. Poteva costargli un sorpasso (come a Monza da Verstappen e Perez), invece gli è servito per dare a Lando quel bust sufficiente per tenere dietro le Mercedes, con Russell frustrato al punto di andare a sbattere all’ultimo giro. «Sì, tenere vicino Lando è stata una decisione personale, ma era necessaria per vincere. Se l’avessero superato, avrebbero passato anche me» conferma Carlos, ribadendosi un calcolatore, un pilota-computer alla Prost, ma con la passione da spagnolo.

Forse il mix perfetto. «Ho dovuto mettere in atto tutte le tattiche che avevo in mente prima della gara, perché è successo di tutto. Ma nomn ho avuto paura, l’avevo messo in conto. È stata una questione mentale più che fisica, perché serviva una gara perfetta. E credo che l’abbia fatta anche la Ferrari». La nuova Ferrari.

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Una birra ghiacciata. Seduto su una poltrona nella notte di Singapore, matido di spumante e sudore, Carlos Sainz abbraccia il trofeo come un padre stravolto dalla gioia sofferta di un lungo travaglio che si concede una caña. Due ore e mezzo prima lo spagnolo ha riscritto la storia sua e della Ferrari, interrompendo un digiuno che durava 434 giorni (10 luglio 2022, quando Charles Leclerc sognava ancora un Mondiale Godot) e la striscia vincente di Max Verstappen (10 trionfi) e della Red Bull (13).

Come Gerhard Berger che nel 1988 a Monza mise fine sulla Rossa al record della McLaren di Senna e Prost, ma con un capolavoro di tattica, personalità e resilienza che ricorda quello di Jacques Villeneuve nel 1981 a Jarama, il circuito alle porte della sua Madrid. Mettendosi a capo di un trenino più assatanato che festante gestendo ritmo, giravolte e acuti manco un cenone natalizio. E alla fine, dopo aver inventato il Drs a favore di un avversario (l’amico ed ex compagno di squadra Norris) come arma difensiva da quelli più pericolosi (le Mercedes di Russell e Hamilton), si mette pure a canticchiare “Smooth Operator”.

Sainz genio della tattica

Sì, matador e volpone. Genio della tattica se volete tradurre così il titolo della canzone di Sade che dal Brasile 2019, quando Carlos rimontò dalla 20ª alla 4ª posizione (diventata poi podio per la penalizzazione di Hamilton), è diventato il suo soprannome. Solo che da “operaio” della F1 ed eterno “figlio di” (papà Senior re dei rally e della Dakar) cresciuto all’ombra dell’idolo Alonso, Junior nel giro di due settimane s’è trasformato in leader. Prima il podio della maturità e tutto difesa di Monza, poi questa vittoria inattesa costruita con un’altra pole e una cavalcata al trotto di chi si sente più forte degli altri.

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