È raro constatare come l’estrema sicurezza, quella che dava modo a Ezra Pound di ricordarci che ciò che conta “non è tanto l’idea, ma la capacità di crederci”, possa abitare in un ragazzo così giovane, che a disegnarlo basterebbero quattro segni lasciati da un bambino.
Una figurina esile all’apparenza, un cappello che sembra più grande della testa, comodo per tenere insieme i capelli annodati e ribelli, due gambe che sembrano stecchi ma prodigiose per velocità e tenuta. Matteo Arnaldi è tutto da scoprire, ma promette sorprese a chi abbia voglia di farlo. Ha cuore e testa, mezzi fisici che non gli attribuiresti a prima vista, ma tali da porlo al riparo anche dalle prove più lunghe e stressanti. Un sorriso che ti si appiccica addosso e i modi semplici di un ragazzo che non si sente un super eroe della Marvel.
Arnaldi già nei primi 50
Uno che se gli chiedi come abbia fatto, ti lascia senza parole…Era a Flushing da numero 168 del mondo un anno fa (battuto all’ultimo turno delle qualifiche), è comparso tra i migliori cento appena ad aprile liquidando Casper Ruud a Madrid, e tempo quattro mesi è già nei primi cinquanta (indicato intorno al numero 47). Un po’ se la sentiva, risponde, «ma non so bene il perché, credetemi, non voglio sembrare matto. Lui un po’ lo conoscevo, perché ci siamo allenati insieme, ed è un grande giocatore, solo che io con i mancini mi sono sempre trovato a mio agio, mi stuzzicano il lungo linea e non ho paura di andare a sfidare il loro dritto».