Abbiamo un nuovo eroe. Suo malgrado. Perché Jannik Sinner rifugge la sola idea. Uno che rimbalza la pressione perché quella "ce l’ha chi deve mettere assieme ogni giorno i pasti per la famiglia, la pressione è non sapere se un razzo entrerà in casa tra 5 ore o 5 giorni", non accetterebbe di essere accostato a una parola imponente quanto presente nel vocabolario umano dall’Antica Grecia.
Il segreto di Sinner: la semplicità
Eppure. Eppure vorremmo dire a Jan - usando una sua frase ricorrente: “it is what it is” - sia quel che sia sei un riferimento. Bello e importante. Le imprese in campo restano scolpite nella memoria con le emozioni che suscita, ma è il modo che le introduce nell’immaginario collettivo. E non v’è dubbio alcuno che questo tempo abbia bisogno di eroi e che lo sport sia un terreno fertile di identificazione per i nostri ragazzi. In questo specchio Sinner si mostra come individuo unico. E sarebbe semplicistico liquidare Sinner con la sua semplicità. Che è solo apparente.
La famiglia
Jannik ci è apparso poco alla volta, per una sorta di pudore e riservatezza. Ok, lui vuole vincere, da bambino sognava di diventare numero uno. Ok, usa una racchetta e il corpo come ogni atleta. Ma c’è un modo politico e sociale di farlo. Per esempio senza esagerare mai con i gesti. Jan lancia messaggi fondamentali, che spesso mettiamo in un angolo. Dopo il trionfo, quel lasciarsi cadere a terra e guardare il cielo e per poi ricordare subito i genitori, la famiglia. Ma non banalmente. "Auguro a tutti di avere genitori come i miei, mi hanno sempre permesso di scegliere, non mi hanno mai messo sotto pressione anche quando praticavo altri sport. Auguro a tutti i bambini di avere quella libertà che ho avuto io".
La Libertà. Il contrario dell’imposizione e del controllo. Immaginate quanti papà e mamma abbiano dovuto riflettere sui propri sogni trasferiti d’imperio nei pargoli. In passato Jan aveva posto l’accento sui sacrifici di Hanspeter e Siglinde. Si era emozionato a raccontare del papà portato nei viaggi: "Perché sono andato via di casa presto e lui lavorava sempre, non poteva sapere come fosse la mia vita, è diverso raccontarla al telefono. Ora lo sa". Papà che spadella bene, già.
La riconoscenza al proprio staff
Sinner osserva, memorizza, apprende, poi si esprime soltanto se interpellato. E fa beneficenza senza sbandierarla. Sinner ringrazia il suo staff per il lavoro, ma anche per avergli insegnato "a sorridere di più, a sorridere ogni giorno che finisce". Sinner ferito dalle polemiche stucchevoli, senza senso e vergognose, poi capace di replicare: "Se non gioco il girone di Davis capisco che i tifosi magari ci rimangono male, ma sono a Montecarlo a spaccarmi di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi, ma diventare la migliore versione di me stesso".
Sfidare il limite col desiderio di scoprirlo e superarlo. Il coraggio dell’eroe, appunto. Tutto questo a 22 anni, è incredibile. Ma lui ti risponderebbe - e se gli sarà chiesto lo farà - che ci sono tanti giovani che si battono e si sbattono in altri campi. Però lui è visibile e Darren Cahill glielo aveva detto: "Con il tempo ti renderai conto di non giocare solo per te stesso".