Douglas Luiz-Juve, accordo raggiunto: le confessioni del nuovo colpo mercato

Il brasiliano dell’Aston Villa è pronto a vestire la maglia bianconera: alle spalle una storia di povertà, sofferenza e sacrifici

TORINO - Quella di Douglas Luiz è una storia in bianco e nero. Non soltanto perché la carriera sportiva del brasiliano è sbocciata nel Vasco da Gama e si appresta a toccare ora l’apice nella Juventus, dove è prossimo ad approdare nell’alveo della maxi operazione con l’Aston Villa che porterà invece McKennie e Iling-Junior a Birmingham. La sua vicenda personale, infatti, non ha sempre avuto i colori sgargianti del successo e i riflessi fluorescenti di uno stipendio che, a Torino, raggiungerà i 5 milioni di euro a stagione. Le radici più profonde, Douglas Luiz, le porta sempre con sé. Sulla pelle, in tutti i sensi. La passione per i tatuaggi è evidente già di primo acchito e l’inchiostro racconta una lunga storia. Un tattoo immortala i baffi del papà, da tutti nella favela di Nova Holland conosciuto semplicemente come “bigode”, ovvero “baffo”, appunto, ed è l’abituale destinatario delle dediche dopo i gol. Un altro, a proposito della periferia di Rio de Janeiro in cui è cresciuto, all’interno di un nucleo familiare di cinque persone costrette in un bilocale, riporta la frase: “Vengo dalla favela e ce l’ho fatta”. È tutto qui.

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Douglas Luiz e l'infanzia nella favela

L’infanzia di Douglas Luiz è stata un inno a tutto quello che gli occhi di un bambino non dovrebbero vedere, a tutto quello che mano non dovrebbe toccare. Eppure il centrocampista, pronto a calarsi nel 4-2-3-1 di Thiago Motta, rivendica tutto con orgoglio. "Naturalmente c’è del buono e del cattivo in ogni comunità, ma penso che le favelas dovrebbero essere più valorizzate e le persone che ci vivono dovrebbero avere più opportunità – la sua riflessione in un’intervista concessa diversi anni fa al The Guardian –. Se due persone cercano lo stesso lavoro e vantano lo stesso curriculum, ma una ha un indirizzo nella favela e l’altra vive in una zona ricca della città, per esempio, a ottenere l’impiego sarà quasi sempre la seconda. Senza motivo. E così la persona della favela rimane confusa sul perché non abbia ottenuto il lavoro. Questa è la realtà. Ma sono orgoglioso di essere cresciuto nella favela. Lì, oggi, sono diventato un esempio per tanti ragazzi, che possono sfruttare il mio esempio per raggiungere i loro obiettivi. E, una volta che li avranno raggiunti, spero che potremo pregare insieme per le persone che ci avevano detto che per noi non sarebbe stato possibile".

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Il passaggio dal Brasile all'Europa

Il carattere, d’altronde, è uno dei tratti distintivi del centrocampista “box to box” che, nell’ultima stagione, si è affermato come uno dei principali talenti dell’intera Premier League. E il carattere, Douglas Luiz, l’ha forgiato nel difficile contesto che l’ha costretto in fretta a diventare uomo. "Aver dimostrato di poter realizzare i miei sogni, oggi, mi rende felice – ha raccontato nella medesima intervista, ai tempi dell’esperienza nel Manchester City, club che l’aveva portato in Europa –. Diverse società in passato mi hanno rifiutato e non avevo le condizioni economiche per mantenermi, ma adesso sono qui. E voglio arrivare in cima". Il suo Everest, a partire dai prossimi giorni, si chiamerà Juventus, contesto nel quale un profilo del genere non potrà risultare intimorito dalla concorrenza. "La competizione interna, nel club come in Nazionale, dev’essere una cosa rispettosa tra gentiluomini. Io penso sempre e solo a fare del mio meglio, non a pugnalare alle spalle gli altri. Quando resto fuori, aspetto il mio turno e lavoro per riconquistarlo: nella mia vita ho sempre combattuto". Anche quando l’esperienza in Europa, agli inizi, pareva volgere al negativo: la mancanza del permesso di lavoro in Inghilterra, le panchine in Spagna in prestito al Girona. "Nel Vasco da Gama giocavo tutte le partite ed ero la stella della squadra, quel periodo per me è stato come una coltellata – ha continuato a raccontarsi Douglas Luiz –. È stato il momento in cui mi sono reso conto di quanto fosse difficile giocare in Europa, di quanto fosse complicato adattarsi a un altro tipo di calcio così rapidamente. Sono caduto, ma ho lavorato sodo per riprendermi e ce l’ho fatta". La storia di una vita, rigorosamente in bianco e nero, riassunta in poche, sincere, parole.

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TORINO - Quella di Douglas Luiz è una storia in bianco e nero. Non soltanto perché la carriera sportiva del brasiliano è sbocciata nel Vasco da Gama e si appresta a toccare ora l’apice nella Juventus, dove è prossimo ad approdare nell’alveo della maxi operazione con l’Aston Villa che porterà invece McKennie e Iling-Junior a Birmingham. La sua vicenda personale, infatti, non ha sempre avuto i colori sgargianti del successo e i riflessi fluorescenti di uno stipendio che, a Torino, raggiungerà i 5 milioni di euro a stagione. Le radici più profonde, Douglas Luiz, le porta sempre con sé. Sulla pelle, in tutti i sensi. La passione per i tatuaggi è evidente già di primo acchito e l’inchiostro racconta una lunga storia. Un tattoo immortala i baffi del papà, da tutti nella favela di Nova Holland conosciuto semplicemente come “bigode”, ovvero “baffo”, appunto, ed è l’abituale destinatario delle dediche dopo i gol. Un altro, a proposito della periferia di Rio de Janeiro in cui è cresciuto, all’interno di un nucleo familiare di cinque persone costrette in un bilocale, riporta la frase: “Vengo dalla favela e ce l’ho fatta”. È tutto qui.

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