Bernardeschi: Dna Juve, il -15, il fattore Allegri, il consiglio a Vlahovic

L'intervista all'ex bianconero: "Con l’Inter sarà dura, ma i miei amici possono prendersi la rivincita di un anno fa e arrivare in fondo. E vincere anche l’Europa League"
Bernardeschi: Dna Juve, il -15, il fattore Allegri, il consiglio a Vlahovic

Mentre parla del Dna Juve, a Federico Bernardeschi scappa naturale un «siamo», poi corretto dopo un attimo di pausa. Dopotutto non è ancora passato un anno da quando ha vestito per l’ultima volta la maglia bianconera e quel «siamo», oltre che un lapsus dovuto a un’abitudine durata cinque stagioni, è una testimonianza del legame ancora forte con i compagni - «Sì, sì, li sento ancora!» - e anche con il mondo Juventus in generale, la sua mentalità, il suo spirito. Con la conoscenza profonda e fresca di quel mondo commenta il momento bianconero visto dal Canada, alla vigilia di Juve-Inter di Coppa Italia, mentre va ad allenarsi con il suo Toronto Fc, reduce da un sabato agrodolce in cui ha firmato un gran gol direttamente da calcio d’angolo, valso però un solo punto.

Buongiorno Bernardeschi, dopo un gol dalla bandierina la domanda è d’obbligo: l’ha cercato o è stato un cross a rientrare fortunato?

«L’ho cercato, l’ho cercato! Lo avevamo provato anche in allenamento. Poi per segnare serve anche un pizzico di fortuna e l’ho avuto, ma volevo calciare in porta».
 
Un gol, il suo terzo stagionale, servito a sbloccare la partita contro Charlotte che all’intervallo conducevate 2-0. Che è successo per finire 2-2?

«Purtroppo ci sta capitando troppo spesso e non va bene, dobbiamo migliorare. Forse ci rilassiamo troppo quando siamo in vantaggio e alla fine ci disuniamo, quando invece dovremmo controllare la partita, provare a fare il 3-0 e il 4-0 e portare a casa i tre punti. Dobbiamo migliorare».
 
La Juve invece non si fa rimontare mai, l’ultima volta contro il Verona, poche ore prima che iniziasse la vostra partita. Che ne pensa del momento bianconero?

«Il Dna Juve è il Dna Juve e questo conta più di ogni altra cosa. Soprattutto quando ci sono delle difficoltà, siamo... sono abituati a reagire e devo fare i complimenti ai miei ex compagni perché non era facile, e non è facile tuttora, fare questo tipo di cose in un momento del genere».
 
Dopo uno shock iniziale seguito alla penalizzazione, un punto tra Atalanta e Monza, la Juve ha conquistato sette vittorie in otto giornate, perdendo 1-0 a Roma una partita in cui ha colpito tre pali. Ha battuto la Lazio in Coppa Italia ed eliminato Nantes e Friburgo in Europa League. Qual è il segreto di questa reazione a un provvedimento che avrebbe potuto affossare il morale?


«Credo che i ragazzi si siano compattati innanzitutto internamente, si siano parlati, e da lì in poi abbiano cercato di pensare partita dopo partita, senza fare calcoli, cercando di andare in campo pensando solo ai 90 minuti. Prendere tutte le sfide come se fossero dentro o fuori e devo dire che questo aiuta: quando ti concentri su un solo obiettivo, senza ragionare a lungo termine, mentalmente è più facile andare a cercare di vincere tutte le partite. Questo secondo me è il segreto di ciò che è stato fatto all’interno dello spogliatoio».

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Quanto è stato importante Allegri in questo processo?

«Fondamentale. Era l’unico appiglio a cui i giocatori si potessero agganciare in quel momento e penso che in questa rimonta ci sia tanto di suo. Max è bravo ad agganciare le emozioni, a tirarle a sé e a far sì che poi la squadra lo segua in tutto ciò che dice e che pensa. Credo che il suo apporto sia stato fondamentale».
 
Szczesny dopo la vittoria sul Verona ha detto che anche se la penalizzazione non venisse tolta la Juve potrebbe comunque raggiungere la zona Champions. È d’accordo?


«Assolutamente sì. Visto quello che stanno facendo e i pochi punti che li separano dalla quarta in classifica, credo sia un obiettivo assolutamente alla portata».
 
Ora arriva la Coppa Italia. Semifinale contro l’Inter che l’anno scorso vi sconfisse in finale e anche in Supercoppa, sempre ai supplementari. Che ricordo ha di quelle sfide?  

«Sicuramente non bellissimo, perché abbiamo perso due Coppe. Contro una grande squadra, perché l’Inter era ed è una grande squadra e una grande società. Domani sarà una grande partita e sarò ben felice di vederla».


 
Pensa di vedere la Juve prendersi la rivincita?


«E’ una partita difficile, l’Inter viene da un brutto periodo, la Juve è in un grandissimo momento. Però in queste partite non contano momenti belli e momenti brutti, ci sono tante variabili e un episodio può cambiare tutto. Ma penso che alla fine qualcosa di positivo per la Juve possa uscire...».
 
Dopo la delusione in Champions la Juve ha iniziato l’Europa League con tre vittorie in quattro partite: può vincere la coppa?


«Assolutamente sì. Credo che la Juve abbia una rosa per essere competitiva in tutte le competizioni: ha tutte le carte per arrivare a vincere e se lo meriterebbe».

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Lei arrivò alla Juventus dalla Fiorentina a 23 anni, Vlahovic lo ha fatto a 20 e finora in bianconero ha alternato alti e bassi. Quali sono le difficoltà di questo salto?

«Quando fai un passaggio di questo tipo cambia veramente tutto. Passi da una società come la Fiorentina, che è una grande società ma che punta a costruire i propri giocatori per poi fare anche delle valutazioni, a una come la Juve dove quando arrivi devi vincere. Non c’è storia. Vai e vai per vincere. E’ molto delicata la fase in cui arrivi, devi cambiare un po’ la mentalità, devi metterti un po’ al servizio: non è più tutto incentrato su di te, come giocatore e come persona, come poteva essere alla Fiorentina. Questa secondo me è la difficoltà maggiore, ma penso che Dusan innanzitutto si sia integrato benissimo e stia comunque facendo bene: si possono dire tante cose, ma è un giocatore straordinario. Poi se alla Fiorentina non fai gol per tre o quattro partite passa più inosservato, se lo fai alla Juve se ne parla di più. Ma questo è il processo di crescita che deve avere un giocatore: quando arrivi alla Juve e non fai gol da tre o quattro partite la pressione e le responsabilità aumentano, ma non è un male. Se il giocatore la prende nel modo giusto è una bella cosa: perché ti responsabilizza, ti fa aumentare lo status mentale e fisico di giocatore, ti fa stare lì a lavorare di più per riuscire a fare quello che devi. Ed è lì che cresci».
 
A proposito di crescere, lei ha visto i primi approcci in prima squadra di Fagioli anni fa e, nella scorsa stagione, di Miretti e Soulé. Che ne pensa della loro, di crescita?
 
«Credo che quello che sta succedendo ai giovani sia molto bello. Stanno crescendo a dismisura e questo fa bene a loro e alla Juventus. Stanno facendo un grandissimo campionato e sono felice per loro perché se lo meritano: tanto di cappello per loro prima e poi per la società».  


 
La dote migliore di ognuno dei tre?

«Di Fagioli sicuramente la visione di gioco, la capacità di capire il movimento del compagno. Miretti è molto più dinamico e molto più istinitivo. Soulé ricorda un po’ Dybala da giovane: mancino, con questi sprazzi di fantasia nello stretto con cui riesce a cavarsela. Possono fare tutti e tre una grandissima carriera».
 
Il suo amico Chiesa sta uscendo da un anno brutto per via dell’infortunio ed ha ancora qualche acciacco: come lo vede in questo momento?

«Federico ha bisogno di tempo. Quando si esce da un infortunio così brutto ci vuole tempo, sia a livello fisico che a livello mentale, e gli va concesso. Sicuramente non è stato un anno facile per lui, ha avuto delle difficoltà ma era normale che fosse così. Lui deve solo stare il più tranquillo possibile, le qualità le ha tutte, come le ha sempre avute. Deve semplicemente continuare a lavorare e stare sereno, piano piano tornerà a fare le sue cose».


 
Delle 183 partite con la Juventus ce n’è una che rigiocherebbe?

«Sì. Il quarto di finale con l’Ajax in Champions League nel 2019. Perché quell’anno secondo me eravamo la squadra più forte d’Europa. C’è stata una serie di episodi troppo sfortunati che ci ha fatto uscire da una Champions che avremmo potuto vincere. Eravamo veramente forti quell’anno».
 
Dopo sette trofei con la Juve, tra cui tre Scudetti, e l’Europeo con la Nazionale, qual è il suo sogno nel calcio?

«Giocare un Mondiale. E’ un sogno a lunga scadenza, mancano quattro anni... La nostra generazione per varie vicissitudini non ha ancora avuto il piacere di giocare un Mondiale. Di sognarlo, di annusarlo, di sentirlo... Tutte queste cose ci mancano. Siamo campioni d’Europa ma tanti di noi non hanno mai giocato un Mondiale e questo fa un po’ impressione».

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Qual è la cosa più bella della Mls?

«Quello che ha colpito me è l’entusiasmo nel seguire il calcio. E’ come se fosse uno sport ancora nuovo per loro: come quando vai a scuola il primo anno, che vuoi andarci sempre, hai voglia di fare. E’ uno sport che ancora non conoscono al 100 per 100, ma si appassionano tanto e questo fa ben sperare per il futuro. E’ un’emozione nuova quella che provano con il calcio: c’è da tanti anni, ma per esempio quando sono arrivato mi hanno detto che da quattro-cinque anni è cambiato a dismisura l’interesse del pubblico. Ma quattro-cinque anni fa dicevano lo stesso rispetto a quattro-cinque anni prima: è una continua evoluzione e questo fa ben sperare. Soprattutto anche in vista dei Mondiali. Una passione che poi si innesta su strutture e organizzazione con un potenziale impressionante, nessun altra Lega al mondo ce l’ha. Vai a giocare a New York, Miami, Los Angeles... Fa effetto dire “Dove vai oggi a giocare? A Miami».
 
A proposito di Los Angeles, si sente con il campione Mls Chiellini?

«Certo che lo sento, è come fosse mio fratello maggiore. Sono davvero contento per lui per il campionato vinto con Los Angeles perché se lo merita. Al di là del calciatore, Giorgio è una persona veramente straordinaria, sotto tutti i punti vista».
 
Qual è la cosa più bella di vivere a Toronto?

«Sicuramente le potenzialità che ci sono. Toronto è una città meravigliosa, con mille culture differenti, una libertà mentale, un’apertura mentale... ci sono opportunità per ogni persona e percepisci, anche se sei in Canada, ma è comunque parte del Nord America, questo “sogno americano”. Vedi le persone che lavorano per crescere, per salire, perché c’è tanta meritocrazia e fa piacere vederlo da fuori».
 
Un giocatore della Mls pronto per una grande europea?

«Thiago Almada di Atlanta, un argentino che era anche al Mondiale, anche se non so se ha giocato (6 minuti contro la Polonia, ndr). Ha 21 anni, è una mezzala offensiva, trequartista».

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Mentre parla del Dna Juve, a Federico Bernardeschi scappa naturale un «siamo», poi corretto dopo un attimo di pausa. Dopotutto non è ancora passato un anno da quando ha vestito per l’ultima volta la maglia bianconera e quel «siamo», oltre che un lapsus dovuto a un’abitudine durata cinque stagioni, è una testimonianza del legame ancora forte con i compagni - «Sì, sì, li sento ancora!» - e anche con il mondo Juventus in generale, la sua mentalità, il suo spirito. Con la conoscenza profonda e fresca di quel mondo commenta il momento bianconero visto dal Canada, alla vigilia di Juve-Inter di Coppa Italia, mentre va ad allenarsi con il suo Toronto Fc, reduce da un sabato agrodolce in cui ha firmato un gran gol direttamente da calcio d’angolo, valso però un solo punto.

Buongiorno Bernardeschi, dopo un gol dalla bandierina la domanda è d’obbligo: l’ha cercato o è stato un cross a rientrare fortunato?

«L’ho cercato, l’ho cercato! Lo avevamo provato anche in allenamento. Poi per segnare serve anche un pizzico di fortuna e l’ho avuto, ma volevo calciare in porta».
 
Un gol, il suo terzo stagionale, servito a sbloccare la partita contro Charlotte che all’intervallo conducevate 2-0. Che è successo per finire 2-2?

«Purtroppo ci sta capitando troppo spesso e non va bene, dobbiamo migliorare. Forse ci rilassiamo troppo quando siamo in vantaggio e alla fine ci disuniamo, quando invece dovremmo controllare la partita, provare a fare il 3-0 e il 4-0 e portare a casa i tre punti. Dobbiamo migliorare».
 
La Juve invece non si fa rimontare mai, l’ultima volta contro il Verona, poche ore prima che iniziasse la vostra partita. Che ne pensa del momento bianconero?

«Il Dna Juve è il Dna Juve e questo conta più di ogni altra cosa. Soprattutto quando ci sono delle difficoltà, siamo... sono abituati a reagire e devo fare i complimenti ai miei ex compagni perché non era facile, e non è facile tuttora, fare questo tipo di cose in un momento del genere».
 
Dopo uno shock iniziale seguito alla penalizzazione, un punto tra Atalanta e Monza, la Juve ha conquistato sette vittorie in otto giornate, perdendo 1-0 a Roma una partita in cui ha colpito tre pali. Ha battuto la Lazio in Coppa Italia ed eliminato Nantes e Friburgo in Europa League. Qual è il segreto di questa reazione a un provvedimento che avrebbe potuto affossare il morale?


«Credo che i ragazzi si siano compattati innanzitutto internamente, si siano parlati, e da lì in poi abbiano cercato di pensare partita dopo partita, senza fare calcoli, cercando di andare in campo pensando solo ai 90 minuti. Prendere tutte le sfide come se fossero dentro o fuori e devo dire che questo aiuta: quando ti concentri su un solo obiettivo, senza ragionare a lungo termine, mentalmente è più facile andare a cercare di vincere tutte le partite. Questo secondo me è il segreto di ciò che è stato fatto all’interno dello spogliatoio».

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