L'infanzia, la strada e la paternità
Nella giovinezza calcistica ha trovato un compagno come punto di riferimento, Nicolussi Caviglia. Ma quando da ragazzino giocava per strada, prima di arrivare alla Juventus, le cose erano diverse, e prendere la strada sbagliata sarebbe stato facile: "Ho iniziato ad avere fin da subito grandi responsabilità. Sono andato via di casa a 13 anni: non c'era nessuno per portarmi da Asti a Torino tutti i giorni, e quindi mi sono spostato nel Convitto. Lasciare amici e casa non è stato facile. Ad Asti mi divertivo: andavo a giocare, stavo per strada. Non sono stato facile da gestire come figlio: anche parlando coi miei compagni dell'infanzia, l'hanno vissuta diversamente dalla mia. Magari a Natale andavano in vacanza con le famiglie, noi stavamo lì: ci adattavamo. Giocare a calcio, stare per strada con gli altri era la normalità. Marachelle? Si, abbastanza. Spesso giocavamo in oratorio, spegnevalo le luci alle sette e ci mandavano fuori. Noi tornavamo alle dieci e mezza, facevamo partite 5 contro 5: una volta il Don ci scoprì, chiamò la polizia e scappammo. Ero il più piccolo, ma il più forte di tutti: gli altri avevano 16-17-18 anni, io avevo 11-12 anni. Molti di quei ragazzi non hanno preso una bella strada, anche se a me dicevano sempre di inseguire i miei sogni e di non fare come loro. Tanti, nella mia situazione, non riescono a scegliere, io mi sento fortunato ad esserne uscito, anche se non dimenticherò mai da dove vengo. Quando ho esordito a 16 anni mi son detto: la cosa sta diventando seria, sono fuori dalla m***a".
Da giovane ragazzino appassionato di calcio a calciatore professionista, e oggi anche papà di un bimbo di 4 mesi: "Dalla nascita di mio figlio, Marley, sono cambiate tante cose. Ora prima di agire ci pensi molte volte, prima di fare qualcosa pensi sempre a lui. Da quando inizi a prenderlo in braccio dici 'Cavolo!'. Ti cambia tutto, ma tutto in maniera naturale. Perché nessuno sapeva che avevo un figlio? Non mi piace dire in giro le mie cose, piace tenermi certe cose per il privato. In squadra non lo sapeva nessuno, finché non mi sono assentato per andare in ospedale. Cosa mi hanno detto? Erano scioccati! (ride, ndr)".