Ti confesso una cosa: c'è stato un momento, nell'estate del 2019, in cui ho capito cos'era Gianluigi Buffon. Forse un po' tardi, lo ammetto. Amichevole Juve-Atletico a Stoccolma, entri dopo l'intervallo e tutto lo stadio si alza in piedi per applaudire. Eravamo in un Paese straniero e probabilmente molti di quei tifosi erano venuti per vedere una leggenda vivente. Mi ha stupido e inorgoglito. Ora gli avversari (vedi il portiere della Macedonia) ti chiedono i selfie tutti emozionati: che effetto ti fa?
«Soddisfazione e gratificazione. Come ti ho detto prima, ho realmente vissuto in uno stato di incoscienza su ciò che ero o su come venivo percepito, rimango ancora sorpreso. Il mio approccio è sempre stato quello di vivere la mia carriera per la felicità naturale che mi donava, non ho mai cavalcato i social, curato l'immagine o cose del genere. La prima volta che mi sono accorto di essere “qualcuno” è stato con il Psg, nei tour in Oriente: la quantità di gente che era interessata a me mi faceva quasi ridere. Scherzavo con Verratti: “Ma lo vedono che sono un vecchio di 41 anni o no?”. In Italia non c'è il riconoscimento del talento, se sei di una determinata squadra, la Juventus soprattutto, ne hai metà a favore e metà contro, non c'è un approccio di sportività: o ti esaltano o ti insultano. Mi commuove l'affetto e l'ammirazione delle persone. Anche perché, diciamolo, puoi vincere quello che vuoi, anche i Mondiali, ma se non c'è la gente ad aspettarti all'aeroporto è quasi come non aver vinto. L'epica la scrivono i tifosi, magari esagerando a volta, ma sono loro il termometro delle imprese sportive».
Quante volte in un giorno ti viene voglia di tornare in campo?
«Mai. Davvero. Quando mi sono fatto male a Cagliari nei playoff dell'anno scorso è stato il fischio finale. In fondo, io volevo solo che ci fosse un motivo valido per smettere e quello è stato perfetto, era fine maggio, per la terza volta mi facevo male al polpaccio, che è un infortunio fastidioso: per riprendere mi ci sarebbero voluti tre, forse quattro mesi e allora ho capito che era venuto il momento. Poi è venuto il corso per diventare ds e ora mi sono iscritto a un master della Bocconi per manager d’azienda».
Accidenti, hai un progetto formativo tosto.
«Sai, ho scoperto il piacere di apprendere. È un piacere sottile che si appaga imparando cose nuove delle quali non hai mai abbastanza. La verità è che la vita è organizzata male: ci fanno studiare da giovani quando non ne abbiamo voglia, quando invece ti viene da adulto, quella voglia. Bisognerebbe invertire le cose».
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