Allegri, il dibattito Juve tra meriti e i No Max. Poi c’è la dura verità

Perché si deve essere necessariamente pro o contro il tecnico bianconero e perché si deve parlare solo di lui?

È noioso, ma soprattutto riduttivo che il dibattito sulla Juventus si concentri e si polarizzi esclusivamente su Massimiliano Allegri. Per quanto un allenatore sia importante all’interno dell’ecosistema di un club e incida in modo piuttosto diretto sulla squadra, siamo arrivati al paradosso che tutto quello che capita alla Juventus sia merito o colpa di Allegri e, soprattutto, che un ritorno al successo, dipenda esclusivamente dalla sua cacciata o dalla sua conferma.

Perchè parlare solo di Allegri?

È vero, Allegri, in questo momento, è l’uomo più forte della Juventus. Dalla scorsa primavera, quando ha sfiorato l’esonero, il suo potere all’interno del club è aumentato e si è consolidato. Ma l’idea che sia l’unico fattore determinante per le sorti della Juventus è figlia di quel tipo di semplificazione estrema, così amata da un certo pubblico, sempre meno abituato alla complessità e a ragionare oltre gli slogan o, meglio ancora, gli “in” o gli “out”. E questo, sinceramente, rende tutto molto deprimente, perché toglie il gusto e il senso di una critica costruttiva. Privato delle sfumature, qualsiasi pensiero, anche uno su una cosa semplice come il calcio, diventa un primitivo grugnito di approvazione o disapprovazione. Perché si deve essere necessariamente pro o contro Allegri e perché si deve parlare solo di Allegri (come, maledizione, stiamo facendo in questo momento)?

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La Juve, i giovani e il ruggito di San Siro

La Juventus di oggi è un animale strano, con molte teste e troppe difficoltà in cui manovrare. Sta riprendendosi dalla micidiale botta assegnata con chirurgica severità dalla giustizia sportiva (il randello che nel calcio italiano diventa spesso scettro) e l’imprescindibile esigenza di rimettere la nave sulla linea di galleggiamento economico stronca qualsiasi velleità di mercato (vedi le ultime due finestre) e questo incide direttamente sulla qualità della rosa, che è chiaramente inferiore a quella dell’Inter, con cui comunque riesce in qualche modo a duellare.

Facendo di necessità virtù, la nuova Juventus ha varato un progetto basato sui ragazzi della seconda squadra (benedicendo la cocciutaggine di Andrea Agnelli e l’abilità di Federico Cherubini), ma per un grande club puntare sui giovani è come prendere una statale tutta curve al posto dell’autostrada: il panorama dà soddisfazione, ma ci vuole pazienza e la velocità è quella che è. Perché poi arrivi a giocarti una partita scudetto a San Siro e scopri la dura verità: i più esperti fanno scomparire dal campo i più giovani. E non è questione di tattica, perché si può parlare allo sfinimento di altezza della squadra, di pressing, di aggredire alti, sovrapporsi sulla fascia e inserirsi negli spazi, ma tutto si cancella quando il ruggito di San Siro e la pressione della partita rapisce cuore e cervello di un ventenne alla prima volta in quelle infernali circostanze.

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Il nervosismo di Vlahovic

E questo non significa dare la colpa ai giocatori e salvare Allegri dalle sue responsabilità, ma considerare un fattore che, domenica a San Siro, è pesato tantissimo nel primo tempo. Perché sicuramente Allegri ha sbagliato qualcosa nel preparare l’aspetto emotivo della partita con l’Inter e, più in generale, gli si può muovere appunti sull’atteggiamento rinunciatario del primo tempo, che lui stesso non voleva (e non aveva programmato), ma il Meazza si è mangiato tutto il coraggio dei suoi. Ma anche ridurre la critica agli “zero tiri in porta” è sterile quanto il numero in sé. Perché il primo deputato a tirare, Dusan Vlahovic, non è stato capace di tenere la testa nella partita, anzi di mettercela.

Fateci caso: entra nervoso, l’arbitro Maresca lo redarguisce dopo un’entrata scomposta minacciando l’ammonizione alla successiva intemperanza e lui che fa? Dopo una manciata di minuti protesta platealmente e si becca il più stupido dei gialli, aumenta la sua agitazione. Ma, ancora una volta, questo non vuol dire bocciare definitivamente Vlahovic, che fino a domenica è stato meritevole trascinatore della squadra, ma provare a considerare tutte le sfaccettature di una partita, gli episodi e i fattori casuali che spesso determinano i risultati nel calcio e, quindi, i giudizi. Così uno stop sbagliato di Vlahovic fa di Allegri un genio o un deficiente.

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È noioso, ma soprattutto riduttivo che il dibattito sulla Juventus si concentri e si polarizzi esclusivamente su Massimiliano Allegri. Per quanto un allenatore sia importante all’interno dell’ecosistema di un club e incida in modo piuttosto diretto sulla squadra, siamo arrivati al paradosso che tutto quello che capita alla Juventus sia merito o colpa di Allegri e, soprattutto, che un ritorno al successo, dipenda esclusivamente dalla sua cacciata o dalla sua conferma.

Perchè parlare solo di Allegri?

È vero, Allegri, in questo momento, è l’uomo più forte della Juventus. Dalla scorsa primavera, quando ha sfiorato l’esonero, il suo potere all’interno del club è aumentato e si è consolidato. Ma l’idea che sia l’unico fattore determinante per le sorti della Juventus è figlia di quel tipo di semplificazione estrema, così amata da un certo pubblico, sempre meno abituato alla complessità e a ragionare oltre gli slogan o, meglio ancora, gli “in” o gli “out”. E questo, sinceramente, rende tutto molto deprimente, perché toglie il gusto e il senso di una critica costruttiva. Privato delle sfumature, qualsiasi pensiero, anche uno su una cosa semplice come il calcio, diventa un primitivo grugnito di approvazione o disapprovazione. Perché si deve essere necessariamente pro o contro Allegri e perché si deve parlare solo di Allegri (come, maledizione, stiamo facendo in questo momento)?

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