La Juve, i giovani e il ruggito di San Siro
La Juventus di oggi è un animale strano, con molte teste e troppe difficoltà in cui manovrare. Sta riprendendosi dalla micidiale botta assegnata con chirurgica severità dalla giustizia sportiva (il randello che nel calcio italiano diventa spesso scettro) e l’imprescindibile esigenza di rimettere la nave sulla linea di galleggiamento economico stronca qualsiasi velleità di mercato (vedi le ultime due finestre) e questo incide direttamente sulla qualità della rosa, che è chiaramente inferiore a quella dell’Inter, con cui comunque riesce in qualche modo a duellare.
Facendo di necessità virtù, la nuova Juventus ha varato un progetto basato sui ragazzi della seconda squadra (benedicendo la cocciutaggine di Andrea Agnelli e l’abilità di Federico Cherubini), ma per un grande club puntare sui giovani è come prendere una statale tutta curve al posto dell’autostrada: il panorama dà soddisfazione, ma ci vuole pazienza e la velocità è quella che è. Perché poi arrivi a giocarti una partita scudetto a San Siro e scopri la dura verità: i più esperti fanno scomparire dal campo i più giovani. E non è questione di tattica, perché si può parlare allo sfinimento di altezza della squadra, di pressing, di aggredire alti, sovrapporsi sulla fascia e inserirsi negli spazi, ma tutto si cancella quando il ruggito di San Siro e la pressione della partita rapisce cuore e cervello di un ventenne alla prima volta in quelle infernali circostanze.
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