Allegri, la recente atmosfera è imbarazzante. Ma con Conte o Thiago Motta…

I tifosi della Juve confermano come nel calcio il ricordo delle vittorie raccolte in passato sia leggero e volubile: si tratta di un vizio trasversale
Allegri, la recente atmosfera è imbarazzante. Ma con Conte o Thiago Motta…© ANSA

“La Roma non si discute, si ama”. Google conferma: la frase fu pronunciata per la prima volta nel 1951, subito dopo la retrocessione della Roma in serie B. Il “padre” di questa espressione, divenuta dogma per molti tifosi, è il romano e romanista Renato Rascel. Renato Rascel. Wikipedia supporta: pseudonimo di Renato Ranucci, è stato un attore, comico, cantautore, ballerino, presentatore e giornalista, scomparso nel 1991 a Roma. Era nato oltre un secolo fa, nel 1912. Nato a Torino dove, domenica come martedì scorso e altri giorni festivi o infrasettimanali di quest’anno, allo Stadium i figli di quelli che rammentano Renato Rascel si sentiranno, nell’ordine. Attori: protagonisti di una contestazione. Comici: autori di battute ridicole su Alex Sandro o De Sciglio. Cantautori: silenziosi della colonna sonora #Allegriout. Ballerini: basta che parta uno per tutti e “chi non salta è…”. Presentatori: anzi presenti a una partita che passa in secondo piano. E giornalisti: perchè allo stadio e/o davanti alla tv tutti si sentono opinionisti, critici, commentatori e sbuffatori social, cioè giornalisti specializzati. Peccato che non siano nulla di tutto ciò. Sono, dovrebbero essere, più semplicemente tifosi. Cioè sostenitori, appassionati, innamorati, perfino ossessionati o malati per la loro (cosiddetta) squadra del cuore.

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Curva esclusa, che anzi entra in contrapposizione sventolando bandiere e rimproverando il resto della platea con “siete un pubblico di m.”. La recente atmosfera dello Stadium juventino sarebbe imbarazzante non solo per Renatino Rascel, ma anche - più modernamente - per Paolino Belli autore dell’inno che fino a qualche anno fa veniva cantato a squarciagola e accendini, e adesso è potenziato dagli altoparlanti più che dai telefonini. Quel che succede alla Juventus da qualche tempo non è inedito nella storia del calcio. Il web aiuta la memoria. Si ripensa a un famoso Milan-Parma del 1998, appena appena successivo agli anni d’oro di Sacchi e Capello, e proprio con quest’ultimo al capolinea. Si torna a un altro Milan-Parma del 2014, quando in panchina c’era Seedorf e in campo Kakà, non proprio due tipi qualunque, non esattamente i modelli da citare per negare un minimo di riconoscenza. Si gira l’angolo di San Siro e anche la storia dell’Inter è piena di episodi simili o addirittura più rabbiosi, salvo uno striscione passato alla storia con una frase fin troppo cattiva per non apparire pure un minimo ironica: “Non so più come insultarvi”. Per la cronaca, e per la storia, venne esposto prima dell’incontro con il Brescia del dicembre 2004, a pochi mesi dunque da stagioni nelle quali gli insulti si trasformarono in scudetti, la cui collezione adesso sta per diventare Seconda Stella.

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A proposito: per un conteggio esclusivamente e rigorosamente storico, il ventesimo tricolore dell’Inter sarà frutto della scolastica addizione “19 sul campo + 1 a tavolino”. E non per istigare alle polemiche oppure - tanto meno - alla rievocazione emotiva di Calciopoli, ma al tifoso juventino di questi tempi sembra non importare più nulla di quel che successe nel 2006 e che oggi contribuisce al ventesimo tricolore interista. Ai bianconeri del telefonino o dello Stadium (curva esclusa) soltanto importa esprimere un rumoroso giudizio, severo e implacabile, a fine primo e secondo tempo: contro Allegri. In allegato i giocatori considerati “allegriani”. Primo per distacco, un grande classico: De Sciglio incolpato semplicemente di esser sceso in campo una settimana fa.

Tornava dopo un anno di ginocchio spappolato giocando con la Juve, non facendo le capriole al luna-park. Ma a prescindere: come si fa a far giocare De Sciglio? Chi azzarda una risposta anche pudica, rischia schiaffi e sberleffi. Secondo gradino del podio allegriano: Alex Sandro. Gli è andato male qualche rimpallo, tipo l’ultimo con l’Udinese. Basta e avanza per fischiarlo anche se entra alla fine, per un minuto o poco più. “È un professionista esemplare, ha più di trecento presenze e cinque scudetti con la Juventus”, ha provato a ricordare Allegri, senza minimamente scalfire le certezze della gogna. Primo De Sciglio, secondo Alex Sandro e terzo uno qualsiasi: basta uno stop sbagliato o un lancio fuori misura per scatenare chi borbotta, si lamenta, protesta, fischia. E infine impugna il telefonino come un’arma letale, per riprendere e condividere sui social la propria contestazione.

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Curva esclusa. E va detto. Perché “repetita Juventus” (chi non sa nemmeno il latinorum si arrangi) è giusto segnalare che Allegri è divisivo, ma anche le contestazioni lo sono. Paolo Maldini, per esempio, il giorno dell’addio al calcio aveva lacrime e applausi da tutto lo stadio meno gli ultras, offesi e tuttora non si sa bene perché. Ronaldo andò via dall’Inter scortato dalle forze dell’ordine, prima ancora di essere fischiato da successivo traditore in maglia rossonera, al tramonto della carriera da Fenomeno. Storie di rancori mirati. Non giustificabili né comprensibili, ma almeno ad personam. Non “ad squadram” come nel caso della Juventus attuale, con i tifosi che al primo passaggio sbagliato urlano a squarciagola “non c’è gioco!” A proposito di gioco e/o giocatori. Se dovesse arrivare Conte via Calvo o Motta via Giuntoli, non risulta che dal mercato estivo arriverebbero tre nuovi acquisti chiamati “Mentalità”, “Atteggiamento” e “Proposta di Gioco”. Magari ci saranno Zirkzee e Calafiori e un regista, o anche tutti e tre. Cioè giocatori. Che poi fanno - o almeno contribuiscono a fare - un gioco più gradevole. Più raffinato per chi entra allo Stadium a degustare moduli e centellinare perle di tattica.

Forse domenica la sfida con la Fiorentina, storica antagonista da Baggio a Vlahovic, provocherà una presa di coscienza almeno accennata. Una squadra, qualsiasi squadra, va sostenuta dai tifosi. Semplice. Vale per la Juventus oggi, come per il Milan ieri e l’Inter l’altroieri. Specificare che il tifoso paga il biglietto e perciò ha il diritto di protestare quanto vuole è una verità storica che non va banalizzata, per giustificarla. Ed anche a costo di incorrere nelle rimostranze di quelli che - oltre che calciofili - si autoproclamano paladini di qualsiasi libertà da stadio, il tifoso ha il diritto di fischiare, ma soprattutto il dovere di tifare. Per la squadra, qualsiasi squadra. A prescindere dall’allenatore, qualsiasi allenatore. Poi la storia segnala che mai, nei cento e passa anni della Juventus, ci sia stato un capro espiatorio come l’attuale inquilino della panchina. La riconoscenza, bisogna ammetterlo, è passata di moda. Il riconoscimento delle competenze tecniche non è mai stato di moda. E gli scudetti di un periodo comunque recentissimo possono pure diventare rimpianto anziché memoria, nostalgia canaglia anziché medaglia. Ma sembra fuorviante e ingiusto ricondurre tutto ad un allenatore, che sia Allegri o Trapattoni o Lippi oppure Delneri o Zaccheroni o Ranieri. Eppure, travisando lo slogan del compianto Renatino Rascel, “Allegri non si discute, si odia”. Ma non è giusto. Punto.

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