"Non si parli di Calciopoli", l'ordine arriva dall'alto. A chi fa paura il racconto della verità?

Un documentario attesissimo fatto sparire in fretta e furia. Ancora una volta manovre dietro le quinte per evitare di fare luce su uno scandalo italiano

Non sarà sfuggita ai più attenti la notizia della cancellazione dalla programmazione su una piattaforma di rilevanza mondiale di un nuovissimo e aggiornato documentario su Calciopoli, realizzato da una celebre emittente particolarmente dedita alle vicende sportive, che ne aveva già annunciato la data di uscita dopo avere ricevuto determinate rassicurazioni. Il prodotto, a quanto è dato sapere, consta di 10 puntate dedicate – ecco la novità rispetto al racconto del pensiero unico degli ultimi 20 anni – non solo al caso Juventus, ma anche alle telefonate del Milan quasi graziato e dell’Inter, al tempo addirittura premiata a tavolino per un campionato neanche oggetto di indagini e da lì in avanti sostenuta dalla pavidità dei media e dall’inerzia della giustizia sportiva.

Non potendo approfondire le ragioni della giravolta della piattaforma, certamente legittima ma al momento non pubblicamente motivata, si può comunque affermare , con assoluta certezza e molte prove a dimostrarlo, che Calciopoli fa ancora paura. Certe cose non vanno toccate: la prescrizione dovuta al ritardo nell’uscita di certe telefonate, accompagnata dal silenzio complice dei mezzi di informazione mainstream, è sacra e dunque della vicenda è meglio non parlare se non per dileggiare ulteriormente gli unici cancellati dallo sport sin da allora, i dirigenti di quella Juventus Moggi e Giraudo.

Lo confermano da ultimo le parole di Gianfelice Facchetti, che pur non avendo ancora visto il prodotto ringrazia la piattaforma per non averci mostrato “l’ennesima tarantella su ciò che conoscono anche i muri”. Deve trattarsi più o meno di quel che l’ottimo Facchetti Jr pensava nel momento in cui aveva scelto di querelare Moggi per avere sostenuto che diverse telefonate attestassero i rapporti tra dirigenti nerazzurri e il mondo arbitrale. Ahilui la pensarono diversamente i giudici (ma alcuni giudici e alcune sentenze piacciono ai media principali più di altri), per i quali quelle telefonate “costituiscono un elemento importante per qualificare una sorta di intervento di lobbying da parte dell’allora presidente dell’Inter nei confronti della classe arbitrale”. Ergo, sconfitta in tribunale e coda tra le gambe.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Calciopoli

Le reprimende pubbliche ad anti juventini che provavano a parlarne

L’ideale, dunque, è che non se ne parli più, con pubblici ringraziamenti a chi sceglie di non mostrare il documentario. Non serviva l’ennesimo intervento poco fortunato sul tema di Facchetti Jr per capire come il tema non sia gradito in certi ambienti. Resta purtroppo indelebile la pubblica reprimenda del conduttore Rai Mannoni, tifoso nerazzurro (capita piuttosto frequentemente di vedere vip interisti spendersi su qualunque palcoscenico per difendere la loro squadra e attaccare i rivali), a Oliviero Beha, fiero antijuventino che sull'esclusività dei responsabili di Calciopoli aveva cambiato idea e voleva raccontare cosa veniva nascosto al grande pubblico.

O quella altrettanto severa del medesimo conduttore, sempre in diretta utilizzando il servizio pubblico, al suo collega Sigfrido Ranucci, ottimo quando si occupava di Juve ma nemico giurato dopo il suo Report dedicato all’altra Calciopoli: “Basta che non vi occupiate più di presunte novità su Calciopoli perché non ce ne sono più. Sia la giustizia ordinaria che quella sportiva hanno stabilito quello che accadde all’epoca. E quindi, sulla puntata della scorsa settimana, c’è questa piccola rimostranza. Del resto non è che francamente poi siano venute fuori grandi novità anche se Moggi prova sempre a spacciare le sue cose come novità”. La chiusura, poi, sembrava degna di una parodia del ruolo del difensore d’ufficio che non riesce proprio a frenarsi: “Niente Calciopoli. No, ma ne puoi parlare. Basta che parli del versante già sanzionato”. Ranucci, dunque, riceveva dal collega l’ok a parlare di Calciopoli, a patto che si occupasse del già radiato Moggi, senza raccontare le magagne dei premiati a tavolino.

 

 

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Se si vuol far parte di chi conta, di Calciopoli non si deve parlare

Lo stesso clima di gelo si respira quando si fa notare che la seconda stella, di solito, si mette sulla maglia dopo avere vinto realmente 20 scudetti: della vicenda è meglio non parlare. Si deve fingere che gli scudetti siano tutti reali, vinti sul campo o meritati fuori per motivi etici grazie alla totale assenza di telefonate al mondo arbitrale da parte della squadra premiata, come ci raccontavano inizialmente pm e commentatori vari.

Per non parlare di mille altre prove che non servirebbero neanche, visto che basterebbe confrontare il tenore da Torquemada di alcuni giornali nel 2006, quando denominavano l’inchiesta “Moggiopoli”, rispetto alla morbidezza e ai trafiletti dal 2010 in poi, quando uscivano le telefonate (anche prima di un Inter-Cagliari di Coppa Italia senza Juve e Milan di mezzo) delle squadre premiate. Di Calciopoli, se in Italia volete godere di un certo rispetto e della stima delle compagnie che contano, non si deve parlare. Anche per questo qui se ne scriverà e parlerà sempre, soprattutto ogni volta che, dopo un contenuto cancellato dalla programmazione, vedremo qualcuno esultare perché “le cose le conoscono anche i muri”, che tradotto in parole più franche e dirette vuol dire "c'è andata di lusso, nessuno deve conoscere la verità". 

 

 

 

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Non sarà sfuggita ai più attenti la notizia della cancellazione dalla programmazione su una piattaforma di rilevanza mondiale di un nuovissimo e aggiornato documentario su Calciopoli, realizzato da una celebre emittente particolarmente dedita alle vicende sportive, che ne aveva già annunciato la data di uscita dopo avere ricevuto determinate rassicurazioni. Il prodotto, a quanto è dato sapere, consta di 10 puntate dedicate – ecco la novità rispetto al racconto del pensiero unico degli ultimi 20 anni – non solo al caso Juventus, ma anche alle telefonate del Milan quasi graziato e dell’Inter, al tempo addirittura premiata a tavolino per un campionato neanche oggetto di indagini e da lì in avanti sostenuta dalla pavidità dei media e dall’inerzia della giustizia sportiva.

Non potendo approfondire le ragioni della giravolta della piattaforma, certamente legittima ma al momento non pubblicamente motivata, si può comunque affermare , con assoluta certezza e molte prove a dimostrarlo, che Calciopoli fa ancora paura. Certe cose non vanno toccate: la prescrizione dovuta al ritardo nell’uscita di certe telefonate, accompagnata dal silenzio complice dei mezzi di informazione mainstream, è sacra e dunque della vicenda è meglio non parlare se non per dileggiare ulteriormente gli unici cancellati dallo sport sin da allora, i dirigenti di quella Juventus Moggi e Giraudo.

Lo confermano da ultimo le parole di Gianfelice Facchetti, che pur non avendo ancora visto il prodotto ringrazia la piattaforma per non averci mostrato “l’ennesima tarantella su ciò che conoscono anche i muri”. Deve trattarsi più o meno di quel che l’ottimo Facchetti Jr pensava nel momento in cui aveva scelto di querelare Moggi per avere sostenuto che diverse telefonate attestassero i rapporti tra dirigenti nerazzurri e il mondo arbitrale. Ahilui la pensarono diversamente i giudici (ma alcuni giudici e alcune sentenze piacciono ai media principali più di altri), per i quali quelle telefonate “costituiscono un elemento importante per qualificare una sorta di intervento di lobbying da parte dell’allora presidente dell’Inter nei confronti della classe arbitrale”. Ergo, sconfitta in tribunale e coda tra le gambe.

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"Non si parli di Calciopoli", l'ordine arriva dall'alto. A chi fa paura il racconto della verità?
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Se si vuol far parte di chi conta, di Calciopoli non si deve parlare