Superlega e calcio nel futuro: soldi, arabi, norme e altre superbufale

La pronuncia della Corte Europea non è sufficiente a far nascere il nuovo torneo, ma c’è molta confusione nel racconto del post sentenza

C’è grande confusione sotto il cielo del calcio, la situazione è eccellente, soprattutto per chi non ha capito o non vuole capire la sentenza con cui la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sull’Uefa e il suo monopolio illegale per le leggi dell’Unione Europea. Perché la questione Superlega, che può essere una diretta conseguenza di quella sentenza, è certamente ancora aperta: può piacere e non piacere, può nascere oppure fallire un’altra volta, ma questo ora dipenderà solo ed esclusivamente dal mercato, libero dopo la sentenza. Saranno i club a decidere dove giocare e non ci saranno sanzioni o norme che potranno fermarli. E la scelta dei club determinerà la nascita o meno della Superlega, in questo giorni raccontata in molti modi, alcuni non proprio precisi.

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Per esempio c'è chi domanda retoricamente come farà a guadagnare la Superlega se trasmetterà le partite gratis. "È impossibile, dietro ci sono i soldi degli arabi", dicono. E la domanda risuona proprio nei giorni in cui Spotify, il colosso dello streaming musicale, annuncia una trimestrale da 3 miliardi. Ricavi che arrivano dalla pubblicità che arriva ai 328 milioni di iscritti con la formula gratuita (ma con gli annunci) e dagli abbonamenti dei 226 milioni che pagano la formula senza spot. Insomma con 554 milioni di utenti, Spotify macina un miliardo al mese. L’obiettivo della Superlega è ricavarne 5 all’anno e il pubblico potenziale è di tre miliardi di persone che potrebbero accedere alla piattaforma Unify gratuitamente o a pagamento, fornendo comunque una base enorme per i ricavi anche solo da pubblicità. Quanto ai "soldi degli arabi" è curioso che vengano ritenuti, in qualche modo, un problema per chi, come l’Uefa, non ha mai avuto problemi a fare affari con le penisola araba e vede nel Qatar uno dei più munifici acquirenti dei diritti televisivi (con l’indiretta intercessione di Al-Khelaifi). "È il calcio dei ricchi che vogliono strapparlo al popolo" è un’altra frase molto gettonata. Insieme a "il calcio non si vende", che detto da chi lo vende ogni giorno per professione e, peraltro, a caro prezzo fa un po’ ridere (visto che la Superlega regalerebbe le partite a tutti i tifosi del mondo, anche a quelli che oggi non possono permetterselo).

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Il calcio è già in mano ai ricchi

Ma è il concetto del calcio dei ricchi fa un po’ acqua, perché il calcio oggi è già dei ricchi, anzi ormai è in mano ai fondi di investimento multinazionali e ai fondi sovrani degli stati della penisola araba. La Champions League distribuisce centinaia di milioni seguendo logiche commerciali più che meritocratiche (il famoso market pool) e allarga il divario fra piccoli e grandi club nei campionati nazionali, che sono sempre più monopolizzati da élite di 3/4 club.

Insomma, la situazione del calcio oggi non è esattamente una democrazia e non è neppure il calcio proletario che cercano di vendere. C’è una norma nelle Noif della Figc che impedirà ai club italiani che aderiscono alla Superlega di iscriversi al campionato di Serie A: il famoso articolo 16 promulgato nel 2021, che i media battezzano come “anti-Superlega” e già questo dovrebbe bastare a capire che non può funzionare. Un club a cui venisse vietata l’iscrizione potrebbe fare ricorso a un tribunale italiano che dovrebbe tenere conto della sentenza della Corte Europea di giovedì che vieta, esplicitamente, che venga fatta discriminazione. Lo vieta all’Uefa, ma seguendo la piramide non possono sfuggirne le federazioni, perché la sentenza della Corte detta linee guida piuttosto precise.

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Il caso inglese

Diversa, invece, la situazione dell’Inghilterra, dove il Governo e la stessa Premier League sono liberi di legiferare contro la partecipazione alla Superlega. Curioso, tuttavia, che lo facciano a difesa della cultura del calcio inglese e di un prodotto dell’economia del Regno Unito, visto che in Premier League ci sono 15 club su 20 che appartengono a proprietari stranieri (sauditi, americani, cinesi e perfino serbi e greci). Ma questa è un’altra storia. Piuttosto, c’è chi sta avvisando che nelle pieghe della sentenza vengono fatti molti appunti, dalla Corte, sulla vendita dei diritti televisivi.

Se qualche club dovesse approfondire l’argomento potrebbe nascere un altro fronte all’interno dell’Uefa sull’argomento più delicato e importante di tutti, perché i diritti tv rappresentano la principale e fondamentale fonte di guadagno. C’è grande confusione e grande fermento: i prossimi mesi saranno decisivi, in un senso o nell’altro. E non sarà la retorica a indicare la svolta.

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C’è grande confusione sotto il cielo del calcio, la situazione è eccellente, soprattutto per chi non ha capito o non vuole capire la sentenza con cui la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sull’Uefa e il suo monopolio illegale per le leggi dell’Unione Europea. Perché la questione Superlega, che può essere una diretta conseguenza di quella sentenza, è certamente ancora aperta: può piacere e non piacere, può nascere oppure fallire un’altra volta, ma questo ora dipenderà solo ed esclusivamente dal mercato, libero dopo la sentenza. Saranno i club a decidere dove giocare e non ci saranno sanzioni o norme che potranno fermarli. E la scelta dei club determinerà la nascita o meno della Superlega, in questo giorni raccontata in molti modi, alcuni non proprio precisi.

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Per esempio c'è chi domanda retoricamente come farà a guadagnare la Superlega se trasmetterà le partite gratis. "È impossibile, dietro ci sono i soldi degli arabi", dicono. E la domanda risuona proprio nei giorni in cui Spotify, il colosso dello streaming musicale, annuncia una trimestrale da 3 miliardi. Ricavi che arrivano dalla pubblicità che arriva ai 328 milioni di iscritti con la formula gratuita (ma con gli annunci) e dagli abbonamenti dei 226 milioni che pagano la formula senza spot. Insomma con 554 milioni di utenti, Spotify macina un miliardo al mese. L’obiettivo della Superlega è ricavarne 5 all’anno e il pubblico potenziale è di tre miliardi di persone che potrebbero accedere alla piattaforma Unify gratuitamente o a pagamento, fornendo comunque una base enorme per i ricavi anche solo da pubblicità. Quanto ai "soldi degli arabi" è curioso che vengano ritenuti, in qualche modo, un problema per chi, come l’Uefa, non ha mai avuto problemi a fare affari con le penisola araba e vede nel Qatar uno dei più munifici acquirenti dei diritti televisivi (con l’indiretta intercessione di Al-Khelaifi). "È il calcio dei ricchi che vogliono strapparlo al popolo" è un’altra frase molto gettonata. Insieme a "il calcio non si vende", che detto da chi lo vende ogni giorno per professione e, peraltro, a caro prezzo fa un po’ ridere (visto che la Superlega regalerebbe le partite a tutti i tifosi del mondo, anche a quelli che oggi non possono permetterselo).

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