"Allegri più allenatore grazie a Giuntoli. Rimane? Quando ci siamo sentiti..."

Intervista a Pierpaolo Marino, ex direttore dell'area tecnica dell'Udinese: "Riscontro il cambio di filosofia di gioco, la Juve è meno ragionatrice e molto più sbarazzina"

TORINO - Pierpaolo Marino è uno dei dirigenti più esperti e più apprezzati, anche a livello internazionale: "Ma ho rinunciato a un’avventura all’estero: i petrodollari arabi mi hanno sfiorato, però l’interesse per quel tipo di esperienza avrei potuta averla 20 anni fa. Gli ultimi anni di carriera, che spero siano tanti, li vorrei dedicare alla passione per il calcio che mi ha sempre interessato, quello italiano".

A proposito: il campionato ha un padrone?

"Mi sembra un copia-incolla dell’anno scorso, con l’azzurro trasformato con l’aggiunta del nero. Mi sembra di rivedere nell’Inter di questa stagione il Napoli dell’anno scorso, dove in settimana qualcuno aspettava lo scivolone, invece il Napoli vinceva sempre di più e staccava sempre di più le contendenti".

La differenza quest’anno è che la Juve ha dato più filo da torcere.

"In linea di massima sì, in realtà a parte lo scontro diretto che ha sancito l’aumento del distacco, è stata più che altro la mancanza di un turno di campionato, per la Supercoppa, ad accorciare la classifica. In realtà a livello di gioco, di padronanza delle partite dobbiamo essere onesti l’Inter è molto simile a quel Napoli, per quanto poi la Juve rispetto all’anno scorso con il mio amico Allegri stia facendo un grande campionato. Se lo sovrapponiamo all’anno scorso sembra di vedere un’altra squadra, dal punto di vista di organizzazione, filosofia di gioco e risultati".

Nella Juve cosa è cambiato?

"Conosco la mentalità di Max: è un fine studioso anche della psicologia del gruppo, dico che l’inserimento di quei 2-3 giovani ha dato freschezza di stimoli all’interno di un gruppo che forse era fatto da tanti vincenti, questo ha portato novità. Riscontro il cambio di filosofia di gioco, la Juve è meno ragionatrice e molto più sbarazzina, molto più fresca nel gioco, nell’organizzazione tattica, questo mi ha colpito. Si vede la mano di Allegri".

Quando si vedrà la mano di Giuntoli? O già si vede?

"In questo lavoro di impostazione o per meglio dire di trasformazione degli obiettivi e della mentalità, dell’età media della squadra, credo che Giuntoli dia sempre un 20 per cento in più all’opera dell’allenatore nella quotidianità. Oggi la presenza nella quotidianità di un direttore sportivo esperto, con personalità e competenze come Giuntoli aggiunge sempre qualcosa al lavoro del tecnico. Allegri con Giuntoli ha potuto fare, rispetto agli altri anni, meno il dirigente e più l’allenatore, questo si è visto molto. E mi permetta di aggiungere una cosa".

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Prego.

"Nel lavoro di Giuntoli trovo molti punti di contatto con il mio, quando decisi di rompere il contratto con il Napoli dopo lo scudetto del 1987 e andai alla Roma. L’anno prima la squadra era arrivata settima, era stato l’anno più basso del ciclo di Viola, con l’esonero di Eriksson e il ritorno di Liedholm nelle ultime partite. Trovo similitudini con il lavoro che facemmo allora, nel 1987/1988, cambiammo la squadra e prendemmo tanti giocatori di B, i vari Policano e Signorini. Certo poi prendemmo Voeller, però la maggior parte erano innesti di giovani che venivano dalla B. Arrivammo terzi alle spalle del Milan di Berlusconi che strappò il titolo al Napoli nelle ultime giornate e per un periodo lottammo anche per lo scudetto".

Tornando ad Allegri, quando è il momento giusto per affrontare la questione contrattuale? Difficile immaginare che cominci una stagione con il contratto in scadenza.

"Sì, però c’è il tempo per ragionare a bocce ferme, in estate. Non mi aspetto sorprese, a meno che sia Max stesso a voler fare un cambio di filosofia a 360 gradi, ma non mi ha dato queste sensazioni quando ci siamo sentiti. Cristiano poi è un tipo conservativo con gli allenatori, soprattutto quando raggiunge l’empatia che traspare nel loro rapporto".

La Juve ha iniziato un percorso con la Next Gen portando giocatori in prima squadra, come Yildiz ma non solo. Quanto è importante la seconda squadra?

"Ritengo fondamentale la seconda squadra, limitata ai top club che devono fare le coppe e che lottano per i vertici della classifica, e ai club di settore giovanile. Se ho un settore giovanile come quelli di Empoli e Atalanta, indipendentemente dall’andamento della prima squadra, mi è utile poter avere una seconda squadra che faccia crescere i giovani anziché prestarli. I figli è meglio crescerli in casa anziché mandarli in collegio...".

A proposito di giovani, lei aveva portato Samardzic all’Udinese: sembrava a un passo dall’Inter, poi è stato vicino al Napoli a gennaio e la Juve, che stasera sfida l’Udinese, non lo ha perso di vista. È pronto per il grande salto?

"Lo scorso giugno, uno dei miei ultimi atti all’Udinese è stato proprio un incontro con Giuntoli che già lo aveva cercato con il Napoli. Investire su questo ragazzo è come prendere un titolo bancario dal rendimento sicuro. Chi avrà fiducia sarà ripagato".

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Carlos Alcaraz è un altro ragazzo interessante: può avere subito impatto nella Juve?

"Alcaraz è un progetto importante, a me piace. La Juve con questo tipo di affare, intelligente, evita i rischi di un’operazione alla De Ketelaere fatta dal Milan, dove puoi avere difficoltà iniziali, se oggi avessi voluto subito Alcaraz avresti dovuto pagarlo tanto. La Juve ha fatto un’operazione valida tecnicamente, da direttore sportivo intelligente che mette il ragazzo in condizioni di poter crescere. I rischi poi sono tutti degli altri: in questo modo ti rendi conto di quello che hai in casa, il giocatore ha meno pressioni e puoi non riscattarlo trattando il riscatto ad un prezzo più basso. Così si evita che i giocatori vengano valorizzati altrove o vengano giudicati dei bidoni, invece De Ketelaere è fortissimo. Anche Samardzic rientra in questo esempio: l’Udinese lo ha pagato 4 milioni, lo avesse pagato di più la gente avrebbe voluto vedere gol, assist, tutto subito. Così l’investimento ha meno rischio d’impresa iniziale".

Juventus e Udinese sono le due squadre che hanno lo stadio di proprietà: è la nuova frontiera? Quanto può essere importante riuscire a fare un salto di qualità?

"Oggi non si può prescindere, dà una solidità al progetto e al patrimonio del club che si riflette su tutti gli aspetti del lavoro. Con lo stadio di proprietà dai un’idea a chi investe su di te, e se il club vive una turbolenza l’appeal è migliore per chi magari deve venire a risanarti i debiti".

Oggi ci sarà un’Assemblea di Lega importante: cosa si aspetta visto che le riforme come la Serie A a 18 squadre sono tra i temi?

"Da dirigente nella mia prima Udinese sono stato tra i fautori del passaggio da 18 a 20 squadre. Dico che per il format italiano a 20 è la formula giusta: l’Inghilterra, che spesso citiamo come esempio da seguire, ha un format simile e non vedo perché dovremmo fare qualcosa di diverso. Sono convinto che da un punto di visto di governance la Serie A a 18 non abbia possibilità di passare, a meno che qualche piccolo o medio club non si metta a votare contro i propri interessi. Poi nel calcio ho visto accadere di tutto...".

La sostenibilità quindi secondo lei non passa dalla riduzione delle squadre.

"No, bensì dall’utilizzo degli extracomunitari, dalle seconde squadre, dalla tutela dei settori giovanili, dal miglior allestimento dei pacchetti televisivi da vendere, da una televisione della Lega di A. Lo sviluppo di nuove idee per il commerciale e per i diritti televisivi: è lì che la Premier fa la differenza".

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E della Superlega che ne pensa?

"La Superlega è un’idea: dal punto di vista di fantasia progettuale può anche essere condivisibile, ma nella pratica inciderebbe sulla valorizzazione di un prodotto calcio che in Italia ha delle sue regole non scritte. Mi spiego: una medio piccola può vincere una volta ogni 50 anni uno scudetto, come accaduto in Premier col Leicester mentre qui è accaduto con Cagliari e Verona. Da un punto di vista di ragionamento e di business plan, chi può criticare la Superlega? Ma è comunque qualcosa che necessità di tempi lunghi, senza dimenticare che c’è un sistem a Uefa e Fifa che sfugge ad ogni logica di considerazione e che ha un potere dominante".

Si aspettava una stagione così animata da polemiche arbitrali anche a livello Var?

"No, anche se sono anni che dico che c’è tanto da fare per migliorare gli interventi in sala Var: per esempio la possibilità di vedere certi momenti della gara alle panchine senza dimenticare anche la qualità degli uomini in sala Var. Non capisco perché debbano andare solo ex arbitri o arbitri. Avrei visto bene corsi sviluppati per ex giocatori. Con il servizio di Le Iene sono emersi l’utilizzo di protocolli incerti e i malesseri all’interno della categoria, che sono profondi tanto da far sembrare un intervento di un arbitro, che si nasconde nell’anonimato, come quello di un pentito. Dico la verità, lì si è toccato il fondo soprattutto riguardo alla credibilità del sistema arbitrale. Questo genera sospetti che nel calcio già si sviluppano senza la necessità di creare situazioni simili a gialli televisivi o a film criminali".

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TORINO - Pierpaolo Marino è uno dei dirigenti più esperti e più apprezzati, anche a livello internazionale: "Ma ho rinunciato a un’avventura all’estero: i petrodollari arabi mi hanno sfiorato, però l’interesse per quel tipo di esperienza avrei potuta averla 20 anni fa. Gli ultimi anni di carriera, che spero siano tanti, li vorrei dedicare alla passione per il calcio che mi ha sempre interessato, quello italiano".

A proposito: il campionato ha un padrone?

"Mi sembra un copia-incolla dell’anno scorso, con l’azzurro trasformato con l’aggiunta del nero. Mi sembra di rivedere nell’Inter di questa stagione il Napoli dell’anno scorso, dove in settimana qualcuno aspettava lo scivolone, invece il Napoli vinceva sempre di più e staccava sempre di più le contendenti".

La differenza quest’anno è che la Juve ha dato più filo da torcere.

"In linea di massima sì, in realtà a parte lo scontro diretto che ha sancito l’aumento del distacco, è stata più che altro la mancanza di un turno di campionato, per la Supercoppa, ad accorciare la classifica. In realtà a livello di gioco, di padronanza delle partite dobbiamo essere onesti l’Inter è molto simile a quel Napoli, per quanto poi la Juve rispetto all’anno scorso con il mio amico Allegri stia facendo un grande campionato. Se lo sovrapponiamo all’anno scorso sembra di vedere un’altra squadra, dal punto di vista di organizzazione, filosofia di gioco e risultati".

Nella Juve cosa è cambiato?

"Conosco la mentalità di Max: è un fine studioso anche della psicologia del gruppo, dico che l’inserimento di quei 2-3 giovani ha dato freschezza di stimoli all’interno di un gruppo che forse era fatto da tanti vincenti, questo ha portato novità. Riscontro il cambio di filosofia di gioco, la Juve è meno ragionatrice e molto più sbarazzina, molto più fresca nel gioco, nell’organizzazione tattica, questo mi ha colpito. Si vede la mano di Allegri".

Quando si vedrà la mano di Giuntoli? O già si vede?

"In questo lavoro di impostazione o per meglio dire di trasformazione degli obiettivi e della mentalità, dell’età media della squadra, credo che Giuntoli dia sempre un 20 per cento in più all’opera dell’allenatore nella quotidianità. Oggi la presenza nella quotidianità di un direttore sportivo esperto, con personalità e competenze come Giuntoli aggiunge sempre qualcosa al lavoro del tecnico. Allegri con Giuntoli ha potuto fare, rispetto agli altri anni, meno il dirigente e più l’allenatore, questo si è visto molto. E mi permetta di aggiungere una cosa".

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